Il David di Montecelio
di Luca Rota

Inaugurando il filone dedicato ai mitici “90s”, ripercorriamo con nostalgia ed orgoglio alcune tappe che videro a buon merito la Serie A come campionato di punta nel mondo calcistico, in un lungo periodo che andò dai primi anni Ottanta, fino ai primi anni Duemila


La carriera di David Di Michele può essere definita in mille modi, ma di certo non noiosa. Classica seconda punta dotata di buona tecnica, all’occorrenza anche prima o esterno, univa velocità ed immediatezza in zona gol, pur non restando estraneo al sacrificio in copertura.

Di certo non si è fatto mancare nulla nei suoi oltre vent’anni di carriera. Ha giocato e segnato in C, B ed A, in Premier League, in Coppa Uefa, mentre in Champions ed in Nazionale lo ha fatto senza andare in gol. Aggiungiamoci anche una breve squalifica per calcioscommesse e persino un rigore parato, in un Lecce-Udinese di Coppa Italia del 20 novembre 2004!

L’esordio lo fece a diciassette anni, a due passi da casa nella Lodigiani, poi il Foggia e la B. Sarà però l’amaranto il colore a cui si legherà di più, comprese alcune sue sfumature (tipo il granata).

Fu proprio la Salernitana a farlo esordire in A, poi l’anno seguente l’Udinese che acquisitolo lo prestò lì dove sboccerà il suo grande amore, quella Reggina con la quale in due stagioni divenne idolo della curva come lo era stato anche in Campania.

In riva allo stretto pose le basi per il ritorno in Friuli, dove nel trio delle meraviglie con Di Natale e Iaquinta, conquistò la qualificazione in Champions dove sfidò mostri sacri quali il Barcellona di Ronaldinho, Eto’o ed Henry.

L’approdo nell’ambizioso Palermo di ritorno in A, lo vide - come già gli era capitato ad Udine -indossare l’azzurro per le sfide di qualificazione all’Europeo del 2008.

In Sicilia ritrovò anche l’Europa, giocando l’Uefa (non ancora League) coi rosanero, prima di scegliere Torino e quel granata, assieme all’amaranto sua seconda pelle.

Dopo una buona stagione in Premier League, col West Ham, il ritorno in Italia significò tornare in B, come non gli accadeva dai tempi di Salerno, sempre in maglia granata, stavolta però quella torinista.

Chi a 34 anni immaginava una carriera finita, si sbagliava di grosso. Chiuso il rapporto col club di Cairo, aiutò il Lecce a ritornare in A, diventandone il trascinatore per ben due stagioni di fila.

Alla retrocessione dei salentini, fu il Chievo ad offrirgli l’opportunità di continuare a militare in A, ma nel mercato invernale come ogni innamorato, preferì seguire il cuore, ritornando ad indossare dopo dieci anni quell’amaranto tanto amato e mai dimenticato.

A Reggio Calabria si consumò il suo canto del cigno, con due stagioni e mezza ed un buon contributo realizzativo, che culmineranno con la retrocessione in Lega Pro, dove restò per provare a risollevare le sorti della decaduta compagine calabrese.

Poi il ritorno a casa, a 40 anni e sempre in C, lì dove diciassettenne aveva mosso i primi passi, stavolta però segnando per la Lupa Roma - e non per la Cisco Roma (nuovo nome della Lodigiani) - i suoi ultimi gol.

Sempre lì si toglierà lo sfizio di sedersi in panchina per una stagione, prima di salutare tutto e tutti e retrocedere ancora, stavolta però con gusto e senza amarezze, andando ad allenare i giovanissimi del Frosinone.

Così da stabilirsi a due passi da casa dopo una vita da girovago, dal Piemonte alla Sicilia, passando per la Calabria, la Puglia, Coverciano ed il Friuli… senza dimenticare Londra e l’Inghilterra.

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