Non è il momento
di Luca Rota

Se i campionati sono fermi da oltre un mese (fatta eccezione per quello bielorusso), c’è un motivo che va ben aldilà delle nostre passioni


Più di una volta,
sapere che la nostra squadra scenderà in campo a sera, ci ha reso meno amara la giornata, perché quel pensiero rivolto all’incontro al quale avremmo assistito stile Fantozzi sul divano mangiando “frittatona di cipolle” e bevendo una bella “familiare ghiacciata” (con annesso rutto libero!), spesso ci ha fatto sentire liberi, parte di un qualcosa, spensierati.

È inutile ribadire quale grandissima passione rappresenti per milioni di italiani il Calcio, ciò risulterebbe scontato e ripetitivo.

Ma se i campionati sono fermi da oltre un mese (fatta eccezione per quello bielorusso), c’è un motivo che va ben aldilà delle nostre passioni: non è il momento di mettere lo svago davanti alla salute, con i morti che superano quota 26mila e i contagiati ora in fase calante, ma che si suppone siano molti più di quelli che crediamo.

Non è il momento di adoperare tamponi per i soliti privilegiati, com’è già successo ai calciatori risultati positivi a marzo, mentre per la gente comune si fatica a trovarne, e tutta la popolazione necessiterebbe di farli.

Non è il momento di far ripartire questa grande macchina da soldi sportiva, mentre un Paese intero è fermo, e per una buona ragione. Credo che gli interessi economici delle società sportive, delle televisioni e di chi su questo nostro amato sport fonda i propri interessi, possano attendere.

Non dimentichiamo che le tardive decisioni operate dall’Uefa, causarono con molta probabilità il contagio e la conseguente morte di migliaia di persone nella bergamasca, e reso Valencia il più grosso focolaio spagnolo (la partita in questione fu Atalanta – Valencia disputata a Milano il 19 febbraio).

Senza dimenticare i tira e molla della Figc nei confronti della Juve, che premeva oltremodo per poter disputare la semifinale di Coppa Italia contro il Milan, e che per contentino ottenne di giocare in campionato contro l’Inter.

È davvero così importante concludere la stagione nonostante i numeri da catastrofe, l’economia in dissesto e la crisi che stanno vivendo migliaia di famiglie italiane?

Già in Olanda si è optato per il congelamento delle posizioni di classifica, senza assegnare il titolo, ma allo stesso tempo senza retrocedere né promuovere nessuno.

Avere una classifica è importante per conoscere chi andrà in Coppa nella prossima stagione, ma non assegnare il titolo è doveroso. Non importa chi vinca o no il campionato, perché cause di forza maggiore non ne hanno permesso lo svolgimento fino alla conclusione. Credo ci siano ben altri problemi oggi.

Trovo decisamente ingiusto ed irrispettoso che gli interessi economici di pochi, dei soliti, offendano i sacrifici di molti. Chi ama il calcio gradirebbe di certo poter assistere ad incontri avvincenti durante questa lunga quarantena, io per primo, ma c’è qualcosa che va oltre la passione, il tifo sportivo e l’esultanza per una bella giocata o un gol: la salute, che è la sola ed unica cosa importante che possediamo sul serio, e che non si può lasciare venga messa a rischio dagli interessi di chi tira i fili di questo Paese.

Con buona pace degli Agnelli, dei Lotito, dei De Laurentis e dei Giulini. Se alla fine poi dovessero vincere loro, non ci si stupirebbe più di tanto (vedi Confindustria e la “finta” chiusura delle fabbriche in Lombardia), ma il risultato sarebbe simile proprio a quel surreale Juve - Inter dell’8 marzo, dove più importante della prodezza balistica di Dybala, fu lo spaventoso aumento del numero dei contagiati ed il conseguente “lockdown” stabilito dal governo.

Proprio perché tifosi, non dovremmo avallare le scelte di chi allo spettacolo preferisce sempre e comunque il guadagno. Il calcio dovrebbe essere un’altra cosa.

O forse sarebbe più giusto dire, “era un’altra cosa”.

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