Se la società del rischio dipende da noi
di Valerio Corradi

Nella Fase 2 siamo costretti a convivere col rischio sanitario e ciò sta cambiando le aziende, la scuola, il mondo del commercio, i servizi pubblici, le attività del tempo libero. Ogni contesto di vita è chiamato a ripensarsi


La necessità di convivere col rischio contagio da Covid-19 e di proteggersi dalle ricadute economiche e sociali della crisi, sta configurando sempre più la nostra società, come una società del rischio.

Si pone per tutti il comune problema del contenimento dell’esposizione a minacce prevedibili e/o imprevedibili tramite il ricorso al distanziamento interpersonale, ai dispositivi di protezione individuale e a specifiche misure igienico-sanitarie. Al contempo si è alla ricerca di nuovi schemi d’azione e di tutela che attenuino le incognite che gravano sulla piena ripartenza di molte attività sociali ed economiche (es. bar, negozi, alberghi).

Siamo sempre più consapevoli che una quota crescente della gestione del rischio è in carico ai nostri comportamenti, alle nostre azioni e alle nostre scelte. La stessa possibilità di minimizzare le conseguenze di possibili nuove ondate di Coronavirus dipende dalle decisioni assunte come individui e come sistema socio-politico.

Sviluppiamo sempre più la consapevolezza di essere parte di una società del rischio destinata a fare i conti con un cronico stato d’ansia e con un senso di smarrimento dovuto al venir meno di molte rassicuranti certezze, già intaccate nella fase pre-emergenza. Al contempo, nella società del rischio, per sopravvivere e per poter continuare a fare economia, società, cultura si rende necessaria una revisione critica di azioni, comportamenti, decisioni e programmi.

E’ questa la sfida che molte organizzazioni del nostro territorio stanno affrontando. Dalla scuola all’università, dalle aziende manifatturiere alle imprese turistiche, dalle attività artigianali e quelle culturali, dagli esercizi commerciali ai servizi pubblici, il contatto quotidiano col rischio incrementa la propensione di diversi contesti a riflettere su sé stessi per ridefinire la propria logica di funzionamento, la strutturazione di tempi e spazi, e le proprie strategie.

Alcuni anni fa il sociologo Ulrich Beck affermava che una società che percepisce sé stessa come società del rischio tende a diventare più riflessiva. Attività e obiettivi diventano oggetto di confronto, discussione e revisione, e si avverte il bisogno di nuovi punti di riferimento e di nuove pratiche.

La percezione di vivere in un mondo pieno di pericoli vecchi e nuovi, che vanno di volta in volta rintracciati e gestiti, porta ad esaminare criticamente gli schemi e i modelli del passato ma anche le acquisizioni più recenti, secondo una logica che ammette sempre meno l’accettazione acritica.

Ed è così che ci accorgiamo che in una società del rischio si trasforma il rapporto potere politico e sapere esperto, che la conoscenza scientifica è importante ma solo in parte è in grado di offrire certezze, che l’introduzione di nuove tecnologie (ad esempio per lavorare e per fare scuola a distanza) è una svolta importante ma può produrre effetti indesiderati. E ancora, che il caos organizzato dei mass media e dei social network confonde dato e percezione, e che i rimedi possono produrre esiti inattesi.

Probabilmente stiamo davvero entrando in una nuova fase della modernità nella quale saremo chiamati a convivere con crescenti rischi e incertezze, e a mettere da parte l’idea che la razionalità tecnico-scientifica possa sempre e comunque fornire risposte definitive.

Una fase, tuttavia, che ci consentirà anche di esercitare in maniera responsabile la nostra libertà, avendo coscienza delle sue ricadute sulla fitta rete di interdipendenze nella quale siamo immersi.

(Tratto dal Giornale di Brescia, 8 maggio 2020)

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