A Bagolino la terza serata di “Voci del Carnevale” è stata destinata ai lavori maschili: “I-é ròbe dä óm”, cose da uomini, che costruiscono sgàlbär, cäägnö́́i, séste, màscäre dä bälärì
Notevole l'afflusso di pubblico che ha visto presenziare anche molti uomini, mentre le serate precedenti erano state frequentate prevalentemente dalle donne.
Dopo la presentazione della serata da parte dello storico Luca Ferremi, che ha dedicato una particolare attenzione all'origine e significato della maschera, i volontari del gruppo “Antichi Mestieri” hanno iniziato a lavorare, dimostrando come nascono i vari manufatti, gli attrezzi usati, i materiali necessari, la tecnica esecutiva per costruirli.
In un batter di chiodi e crescer di trucioli di legno, i visitatori hanno potuto vedere come vengono costruiti gli sgàlbär, le calzature usate in passato dalla popolazione povera, soprattutto nelle campagne.
Si tratta di scarpe dalla suola di legno, chiodate per muoversi sul terreno e sul ghiaccio senza scivolare, con un rinforzo chiodato supplementare in punta per proteggere la suola dall'eccessiva usura; la tomaia in cuoio, rigida e tozza, destinata a durare più tempo possibile, oggi è sostituita da materiale più morbido, a volte da tomaie recuperate da calzature ormai fuori uso, anche per sopperire alla scomparsa quasi totale di calzolai in grado di costruire i pezzi necessari.
Gli gàlbär erano indossati a piede nudo in estate, in inverno con calze di lana di pecora, ma capitava spesso che i più poveri mettessero il fieno al posto delle calze; oggi gli gàlbär vengono utilizzati a carnevale con il costume femminile délä éciä o maschile del ceviö́́l, sono diventate calzature ricercate e costose, dato il lungo lavoro manuale che comporta la loro fabbricazione.
Silenziosa ma di paziente applicazione invece la realizzazione di cäägnö́́i e séste, canestri e ceste di varie dimensioni, costruiti utilizzando legno di còlär (nocciolo), òrän (frassino orniello) o cästégnä (castagno) per la struttura portante, e per le pareti di contenimento le mädräzèle, strisce lignee ottenute scorticando piccoli fusti di läntänì (Viburnum lantana), che vengono intrecciate secondo un preciso schema costruttivo; anche i rami delle piante degli stropèi (Salix viminalis), flessibili e duttili erano utilizzati per la fabbricazione di canestri, specialmente a Ponte Caffaro dove tali piante idrofile erano presenti in gran numero, perché usate anche per la legatura delle viti.
Mentre i cäägnö́́i servivano per la raccolta dei funghi, per conservare le uova, per tenere frutti, gomitoli di lana, oggetti vari, le séste venivano usate per il trasporto del letame, lavoro di competenza delle laorète, le salariate agricole che le portavano sul capo con il bästärél, un sacco sagomato riempito di fieno; servivano come culle mobili per il trasporto del neonato, portate sempre sul capo dalle donne, mentre quelle più grandi erano usate per raccogliere le foglie, i ricci delle castagne, ecc. Anche questi manufatti un tempo indispensabili in famiglia, specialmente in agricoltura, sono oggi ricercati come suppellettili di testimonianza della civiltà contadina; a carnevale entrano a far parte delle rappresentazioni dei vecchi mestieri e usi del passato inscenate dai màscär.
Più insolito invece assistere alla produzione delle màscäre dä bälärì; la loro dimostrazione ha quindi attirato particolarmente la curiosità e l'attenzione del pubblico.
Le tipiche maschere indossate dai ballerini del Carnevale di Bagolino sono di chiara derivazione di maschere in uso presso la Repubblica di Venezia; anche in un recente passato le maschere erano di legno, mentre quelle attuali sono modellate in gesso telato su sagoma predisposta, sovrapponendo garze via via incollate con colla cotta di farina, rinforzate con gesso e rifinite con carta vetrata sottile, e infine dipinte con i colori bianco, nero e rosso.
Si tratta di un lavoro affascinante, di artigianato artistico, che vede via via delinearsi sotto le mani esperte degli uomini bagossi il simbolo stesso del carnevale, la màscärä dä bälärì; e soprende l'abilità e la cura meticolosa che i nostri artigiani-artisti esprimono in un lavoro che assume il carattere del rito, all'interno del più complesso rito del Carnevale di Bagolino.
La serata dedicata alle “ròbe dä óm”, oltre a dimostrare le capacità manuali e il saper fare della gente bagossa, ha evidenziato ancora una volta quanto sia diffusa in questo paese la conoscenza e la pratica degli antichi mestieri, che unisce ancora con un saldo legame la comunità odierna con l'antica comunità e la sua civiltà contadina di montagna.
La positiva iniziativa del gruppo “Voci del Carnevale” si chiuderà a Bagolino Giovedì 6 Febbraio, sempre alle ore 20.45 presso la Sala Polifunzionale in via San Giorgio 5, con le donne nuovamente protagoniste per la vestizione del cäpél dä bälärì.
Serata conclusiva di sintesi: non mancate!
Marisa Viviani
Nelle foto di Luciano Saia: "Voci del Carnevale": sgàlbär, séste e màscäre dä bälärì