05 Febbraio 2020, 16.39
L'angolo di don Claudio

Il bene comune

di Don Claudio

Una prima domanda che pongo a me stesso e a voi: abbiamo una nozione di che cosa sia “bene comune”?


Da questa idea nasce un po' l’impostazione della nostra società o, detto in altri termini, è la sola bussola in grado di orientare una visione di insieme che probabilmente manca. Ma abbiamo una cultura capace di distinguere fra cosa sia bene e che cosa sia male? Penso che ognuno ha il suo modo di intendere queste due brevi ma importanti parole.

La nostra cultura del bene è fatta, in pratica, da un insieme di piccole cose, gesti e comportamenti: quando vediamo la bandiera tricolore sbandierare dall’alto di una casa o di un balcone ci ricorda la cultura della patria e del sacrifico ed il senso di appartenenza alla nazione, ma ci sono anche persone che danno un significato diverso.

L’idea diffusa del bene comune è quella di essere di aiuto agli altri, soprattutto quando il prossimo si trova in difficoltà, soprattutto questa idea emerge nelle associazioni del terzo settore e del volontariato o in eventi ufficiale quando si premia una persona o un gruppo che ha portato un valido contributo in un settore della vita civile.

Però esistono delle dicotomie ovvero delle contraddizioni: da una parte ci si lamenta dei politici e degli amministratori pubblici e del loro uso dei soldi, mentre dall’altra tendiamo ad avere difficoltà a risparmiare sulle nostre spese;
critichiamo i tifosi violenti allo stadio, ma non ci preoccupiamo di diffondere il bene nei nostri uffici; vogliamo i processi per le persone o gruppi che fanno gli illeciti, però non creiamo una cultura della legalità.

Dopo gli anni del '68
abbiamo coniato lo slogan “ognuno deve fare ciò che gli piace” anche in campo religioso e poi, di fatto, abbiamo coltivato un modello di azione che esclude la legge ed il diritto e soprattutto un modello condiviso di giustizia.
Vi sono persone che combattono il capitalismo e, nello stesso tempo, criticano una impresa che lascia l’Italia.

Che cosa manca in definitiva nella nostra società fatta di tante monadi? Ci manca una idea generale del bene e poi di come sostenere questa idea nel tempo.
Parlare di “bene comune” significa parlare della famiglia, primo nucleo della società e della chiesa, come prima forma di organizzazione naturale: avere la consapevolezza che si realizza il “bene comune” quando le imprese ed i profitti vanno di pari passo verso uno scopo comune al servizio della comunità; quando il mondo economico entra in relazione con il “no-profit” mettendo al centro la dignità della persona; quando l’economia trova una mediazione tra interesse dei privati e interessi pubblici, perseguendo un obiettivo comune.

In tutto questo troviamo una risposta all’eterno combattimento che c’è nel cuore dell’uomo tra il suo egoismo e il desiderio di fare del bene.
Possiamo vivere in un ambiente in cui ognuno è sussidiario all’altro, la tensione al “bene comune” aiuta a vivere la solidarietà in tutti gli attori della società.
Il nostro compito è quello di realizzare il “bene comune” adottando impegni concreti con azioni utili ed efficaci, ispirando la propria condotta all’opera del creatore.

In conclusione il “bene comune” ha bisogno di una organizzazione tecnica insieme ad un forte spiritualità che insieme aiutano una “pluralità di beni” a diventare una realtà unica e cioè “il bene comune”.
In una situazione di crisi il “bene comune” è uno stimolo affinché l’economia ed il mondo finanziario sia efficace e nel suo percorso cammini insieme con la solidarietà e la sussidiarietà.

Don Claudio




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