11 Dicembre 2017, 08.00
Blog - Figurine di provincia

Numero 5

di Luca Rota

Eugenio Corini nasce sia calcisticamente che fisicamente in quel di Brescia, a Bagnolo Mella, dove esordisce alla fine degli anni Ottanta. Del numero di maglia poco gli importa; lui gioca, e lo fa anche piuttosto bene… 


Fino alla metà degli anni Novanta, i numeri di maglia sulle schiene dei calciatori in campo avevano un senso. Chi indossava tale numero, di solito ricopriva anche tale ruolo. Un numero 3 era per forza di cose un terzino sinistro, un numero 7 un’ala destra, così come un numero 9 era il centravanti. Non si scappava ai numeri. Il talento, però, quello numerabile non lo è stato mai, perciò per molta gente quelli restavano numeri e non forzature tattiche da seguire ciecamente. Oggi parliamo di un numero 5, uno di quelli operanti in mezzo al campo, nel fulcro della manovra. Ciò che gli inglesi chiamano lynchpin.
 
Eugenio Corini nasce sia calcisticamente che fisicamente in quel di Brescia (a Bagnolo Mella), dove esordisce giovanissimo intorno alla fine degli anni Ottanta. Del numero di maglia poco gli importa; lui gioca, e lo fa anche piuttosto bene, ricoprendo un po’ tutti i ruoli del centrocampo. Arriva quasi immediato il passaggio alla Juve, cosa che sembra dovuta ad un predestinato. Purtroppo per lui non sarà così. 
 
Dopo due stagioni in bianconero lo acquista la Samp, che in quel periodo se la passa piuttosto bene. Arriva anche la convocazione in azzurro (senza vedere il campo), poi inizia un’escalation al contrario: prima il prestito al Napoli, poi il successivo ritorno a Brescia, per finire con un via vai tra Piacenza e Verona. In tutto ciò il tempo scorre per l’ormai ex enfant prodige, che nel suo curriculum conta tante presenze nella massima serie, ma non la carriera che ci si auspicava un decennio addietro.  
 
Aggiungici due rotture del legamento crociato ed un cambio di squadra, nonché di categoria (ed anche di quartiere), che a quasi trent’anni lo porta nella serie cadetta, in quel di Chievo (allora il meno nobile del comprensorio scaligero) e finisce che molti pensano ad un tranquillo e anonimo pensionamento anticipato. Invece “per chi l’ha visto e per chi non c’era”, è l’inizio di una bella favola. Perché la vita calcistica del Genio inizia a decollare proprio in quel momento, e proprio nella squadra del presidente Campedelli.
 
Agli ordini di mister Del Neri ha luogo la sua vera rinascita. Si riscopre impiegato da mediano d’impostazione, uomo d’ordine e di rottura se serve, un numero 5 moderno, dai cui piedi partono tutte le azioni, capace di segnare (e molto anche) su punizione, nonché affidatario insostituibile dei tiri dagli undici metri. Sciorina gol e geometrie, coi quali spinge i clivensi verso la prima storica promozione in A, dove addirittura l’anno successivo si ripeterà ad alti livelli ed insieme a tutta la squadra guadagnerà i piani alti della classifica, riassaporando dopo più di un decennio l’aria europea e la maglia azzurra (sempre senza scendere in campo). 
 
Nonostante le trentaquattro primavere, il Palermo di Zamparini e Delio Rossi lo acquistano senza badare a spese. Con i siciliani, squadra ambiziosa e piena di buoni elementi, vive altrettanti anni importanti, tra media - alta classifica e l’Europa. A trentasette anni rifiuta il rinnovo dal vulcanico presidente rosanero per accasarsi al Torino di Cairo in B.

Si pensa addirittura non voglia più smettere. Coi granata ritorna in A alla prima stagione, ma falcidiato da diversi acciacchi, conclusa la seconda (con poche presenze) a trentanove anni decide di dire basta. 
 
Con quella visione di gioco, però, avrebbe tranquillamente potuto giocare fino a cinquant’anni. Perché il Genio - soprannome condiviso con Dejan Savicevic, ma che per Eugenio è dovuto al suo, di nome - in campo ha sempre vissuto di geometrie, verticalizzazioni, punizioni, rigori e giocate da calciatore di livello superiore, espresse sempre con una facilità disarmante. L’età e i numeri per lui hanno sempre contato poco. Non è mai stato un numero 5 qualunque. 
 
Diventato allenatore, comincia da Pordenone, poi Crotone, prima di guidare il suo Chievo alla salvezza nel 2013, e ritornare in un Palermo in forte crisi. Oggi lo troviamo in B a Novara, speranzoso di riuscire a riproporre lo stesso miracolo compiuto anni prima da calciatore, col suo Chievo. Magari avrebbe meritato una carriera migliore, soprattutto in gioventù, ma il calcio, si sa, spesso toglie e spesso dà. E chi ha avuto il piacere di vederlo giocare, sa che di numeri 5 come lui non ne fanno più.

Anche se i numeri - quelli di maglia - contano assai poco oggi, così come poco contavano per il Genio.
 
 
 
 


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