05 Gennaio 2020, 08.00
Blog - Genitori e figli

Regali o doni?

di Giuseppe Maiolo

Il tempo delle feste è solitamente quello dei doni che il prevalere delle società dei consumi ha denominato “regali”. Ma le parole “regali” e “doni” non sono equivalenti


Con il termine “regalo”, di probabile provenienza spagnola, si allude a qualcosa di materiale da offrire al “re” con cui si voleva testimoniare la sua grandezza e al tempo stesso mostrare pubblica devozione e personale gratitudine perché ne ritornasse la benevolenza del sovrano.

Nel regalo, così, c’è spesso un che di utilitaristico, una sorta di “do ut des” a volte adulatorio. Ovviamente il regalo può anche essere il corrispettivo concreto del mio “grazie” e la rappresentazione materiale della riconoscenza.

Nella parola “dono”, che è di derivazione latina, prevale invece l’aspetto del “dare liberamente” e senza contropartite. Non è di certo un tornaconto personale del donatore anche perché in genere ha uno scarso valore materiale. Può essere “solo un pensiero” che nella cultura del consumo viene sentito come regalo misero che richiede scuse.

Se ci pensiamo, però, il pensiero è dono di enorme valore perché fondamentale nella relazione. Indica l’attenzione e la cura che noi possiamo dare all’altro e, allo stesso tempo, descrive quale posto affettivo occupa nella mia mente chi è destinatario del mio dono.

I bambini e gli adolescenti, ma anche gli adulti, sanno cosa vuol dire essere nei pensieri di chi ti vuole bene. E noi sappiamo che di fatto si cresce solo se si è pensati. Così nel dono, in genere, non è importante il valore dell’oggetto che viene dato, quanto la relazione tra chi dona e chi riceve di cui il dono è testimonianza.

Poi conta l’azione circolare dello “scambio” che non è il semplice ricambiare la cortesia, quanto un mettere in moto quei sentimenti di fiducia e di speranza che stanno alla base dei legami importanti come quelli familiari.
 
Gli studi sulle dinamiche intergenerazionali, ad esempio, evidenziano il fatto che nelle famiglie in cui manca la rappresentazione del dono come scambio, viene a mancare un’importante modalità di interazione affettiva che finisce per originare vere e proprie patologie della relazione.
 
Fare doni, allora, non è mai cosa facile e semplice. A differenza del regalo che è più sbrigativo, il dono richiede tempo per essere pensato e presuppone la necessità che colui che dona sia in sintonia con la persona che riceve.

E poi un dono non dovrebbe mai essere dato senza una dedica scritta che l’accompagni perché in questo donare non vi è la logica della partita doppia, tipo dare/avere, e nemmeno è un gesto determinato dagli algoritmi che determinano sempre di più le nostre scelte.

Il dono è uno sforzo, un atto di coraggio, anche se è solo un “piccolo presente”, perché nel dono vale la nostra presenza. È l’essere al posto dell’avere di cui parlava Fromm. È il dare presenza che significa offrire attenzione, ascolto e tempo.
E allora è l’esserci il dono più grande che possiamo fare, il cui valore effettivo è difficile da misurare soprattutto perché i regali di oggi sono quasi tutti esclusivamente materiali e in genere prevedibili.

Non ci sorprendono più in quanto abbiamo eliminato il tempo dell’attesa e dell’immaginazione mentre, per effetto dei sensi di colpa derivati dal poco tempo che dedichiamo agli altri, abbiamo aumentato la quantità di regali in modo da compensare le nostre mancanze e i nostri vuoti.

Giuseppe Maiolo
Università di Trento
www.officina-benessere.it



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