18 Ottobre 2015, 16.46
Lo Stellante

Elogio del falso

di Nicola Zanoni

In un racconto del 1985 lo scrittore svizzero Frederich Durrenmatt immagina che il Minotauro - cui, lo ricordiamo, è 'dedicato' questo spazio - sia rinchiuso in un labirinto ancor più crudele di quello del mito. E, si creda, essere più crudeli dei Greci non è impresa dappoco


Nella versione durrenmattiana le pareti e il soffitto della costruzione dell'ateniese Dedalo, architetto, sono fatte di specchi e dunque si riflettono tra loro all'infinito creando infinite dimensioni, che ne riflettono infinite altre in infinite altre ancora... - e così via, in un angosciante, turbinoso esplodere di immagini.
Ovviamente, poiché v'è intrappolato, infiniti sono anche i Minotauri che compaiono agli occhi dell'unico Minotauro che guarda infiniti altri Minotauri guardarne altrettanti guardare...

Il labirinto - lo si è già scritto - è il luogo tremendo dell'avvinghiarsi su di sé della vita, del suo maligno accusarsi da sé, del suo su se stessa ritorcersi e ritornare.
Nietzsche userà proprio l'immagine dell'Eterno Ritorno per indicare qualcosa di analogo: tutto ciò che accade, egli suggerisce, si ripropone eternamente identico a se stesso, torna infinitamente su se stesso, come una folle giostra o una trottola inerte, in un movimento senza origine né scopo, senza inizio e senza fine.
E qui perciò si sono già scritte queste parole un numero incalcolabile di volte e qui saranno già state lette altrettante, e nessuna è mai stata la prima, e nessuna sarà mai l'ultima.

"Polemos" scrive Eraclito, sapiente greco del V sec. a. C. "è il padre di tutte le cose".
Polemos è la Guerra. La guerra è conflitto, lacerazione, opposizione. L'opposizione è lo scontro tra qualcosa e tutto ciò che quel qualcosa non è. Io non sono nient'altro che io - tutto il resto io non sono.
Eppure la vita, nel suo subdolo cangiar di luminosi colori, rifrange infinite immagini di me guardato a me che guardo. Mi vedo sveglio e dormiente, vincitore e sconfitto, figlio e padre, fanciullo e già cadavere.
Ed entrambi e tutti io sono, e nessuno.

Nulla garantisce, nel maligno giuoco dell'esistenza, che un'immagine riflessa sia più reale di un'altra.
Nulla può non essere immagine se non quel che immagine non è - e che allora è invisibile. Il Minotauro di Durrenmatt, che si vede specchiarsi (e che, anzi, consente che vi sia qualcosa di specchiato), non riesce - come nessuno dei mortali - a guardarsi negli occhi.
E tuttavia egli è colui che non apparendo (o apparendo) fa apparire (o non apparire). Come il fanciullo divino del mito orfico che specchiandosi vedeva il mondo.
O come - se il discorso pare poco 'concreto' - in prospettiva il punto di fuga, che non appartiene (né può appartenere) al piano della rappresentazione, consente agli oggetti di essere rappresentati - e ciò appunto in virtù della propria irrappresentabilità...

Dunque la conoscenza, che è visibilità, appartiene, è consentita, passa necessariamente da ciò che è illusorio, inafferrabile, inconoscibile.
Di più: la conoscenza è conoscenza dell'illusione - s'intende, tanto come oggetto quanto come soggetto.
Per il Minotauro del racconto, v'è conoscenza solo e soltanto attraverso l'immagine: attraverso quanto cioè è sommamente non-reale - ossia, quanto sommamente "non è".
E il falso è proprio ciò che, pur apparendo, "non è". Sicché la conoscenza non è altro che un gioco tra tanti, un teatro vero solo per tutto il tempo della rappresentazione, un tempo sottratto a ciò che tempo non è.

Vasugupta, mistico kashmiro del IX-VIII sec., scrive negli 'Aforismi di Śiva'
: "il sé è un danzatore".
E poi: "il sé interiore é la scena". La scena, il teatro, la maschera. Ancora, il falso che si mostra. Anche il Minotauro di Durrenmatt danza. E Śiva e Dioniso pure.
Danzando queste figure divine creano il mondo - uno fra i tanti. Stanche, si riposano.
E allora il mondo, "sogno di un'ombra" (Pindaro) svanisce, e noi con esso. Anche Gorgia (485 ca. a.C. - 375 a.C), grande retore greco, dice qualcosa di simile: "La tragedia è un inganno per il quale chi inganna è più giusto di chi non inganna, e chi è ingannato è più saggio di chi non si lascia ingannare".
Ma la tragedia per un Greco è la vita. Dunque, la vita è un inganno. Forse che allora - ...?



Commenti:
ID62052 - 18/10/2015 18:06:21 - (Dru) - L'elogio del falso

è vero elogio o è falso elogio? Perché se è falso elogio allora ha ragione Gorgia nel definire che chi inganna nella tragedia, che è un inganno, è più vero di chi non lo faccia e chi è ingannato è più saggio di chi non si lascia ingannare, poiché tutto nasce dal fatto che la tragedia sia un inganno. Ma è qui il punto. Se la tragedia è un inganno, che sia e che non sia è un fatto, perché quando è allora non è e quando non è allora è, è un inganno appunto. D'altra parte, se è vero elogio allora ha torto Gorgia nel definire che chi inganna nella tragedia è più vero di chi non lo faccia e chi è ingannato è più saggio di chi non si lascia ingannare, poiché la tragedia come inganno è quel vero che l'elogio del falso rifiuta.

ID62053 - 18/10/2015 18:09:37 - (Dru) - In definitiva

posso elogiare il falso solo se sono nel vero, come suo tratto. Contrariamente, se elogio il vero, lo faccio sempre nel vero, poiché se lo facessi nel falso, risulterebbe che quando lo facessi, lo farei e non lo farei, producendo un regressus ad indefinitum.

ID62054 - 18/10/2015 18:44:44 - (Dru) - Dimenticavo

complimenti nuovamente per questa saggezza espressa da Nicola, che induce il lettore a riflettere con attenzione e mai banale.

ID62069 - 18/10/2015 20:19:44 - (Leretico) - Il labirinto

Il labirinto è stato eletto da Borges origine della complessità del mondo, dell'enigma dell'esistenza. L'abduzione si è sostituita alla deduzione, il labirinto alle idee chiare e distinte, alla catena di significati legati tra loro come anelli dal principio di causalità. Ma un altro concetto si intreccia con quello di labirinto: "per mendacia poetae veritatem". Mi piace molto questo articolo di Nicola. Durenmatt ha scritto anche "La promessa" che consiglio di leggere.

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