18 Marzo 2018, 11.18
Maestro John

Tema: Il mio papà

di John Comini

Svolgimento. Il mio papà si chiama Luigi. È nato nel 1913. Suo padre Angelo aveva fatto un bel po’ di debiti e sua madre Margherita era stata imbrogliata dai fratelli nelle divisioni dell’eredità...


...Così un brutto giorno mio papà, che aveva 9 anni e frequentava la 4^ elementare, è uscito dalla scuola di Via Brunati a Salò ed ha incontrato uno zio che l’ha portato a lavorare nell’ortaglia.
E non era un lavoro semplice, doveva dormire là lontano da casa. Era trattato non certo come un nipote ma come un servo, ed è stato strappato ai giochi dei bambini per aiutare la famiglia.

Imparerà la lingua tedesca e francese dalla mamma del senatore Fabiano De Zan, che insegnava presso la Giovane Salò.
Mio papà da ragazzo aiutava mio nonno e lavorava come cementista nel cimitero di Salò. Un giorno faceva un gran caldo e il destino volle che mio papà facesse un riposino dentro un loculo vuoto.

Arriva un’anziana vedova inconsolata, e mentre versava caldissime lacrime (era estate appunto) sulla tomba dell’amatissimo marito, improvvisamente una corona di candidi fiori cadde, e la voce del mio papà tonante dal loculo esclamò: “Buongiorno siura!”.
È un miracolo che la suddetta signora non sia volata in cielo nelle braccia del marito (martire, a questo punto).
Quando a scuola cantavamo “Si scopron le tombe si levano i morti/ i martiri nostri son tutti risorti” mi veniva in mente il mio papà che si alzava dal riposino.

Una sera, sempre al cimitero di Salò, stava lavorando attorno a qualche balaustra di cemento nei piani alti del cimitero, quando sulla strada sottostante transitava in bicicletta il suo amico Cagnati, che rientrava dal lavoro a Portese.
Era scuro, a quel tempo non c’erano le luci di adesso. Mio papà riconobbe l’amico per l’incedere e la fioca luce del fanale della bicicletta, e gridò a gran voce: “Cagnatiiii! Cagnatiiii!”.
Il suddetto si bloccò, poi fece uno scatto che nemmeno Coppi e Bartali in tandem avrebbero potuto uguagliare, e in un lampo arrivò fra le mura di casa. Pare infatti che il suddetto Cagnati abbia udito le voci dei morti che lo chiamavano a gran voce. E invece era il mio papà!

Nel 1935 mio papà viene arruolato nel genio militare e destinato in Abissinia, dove per un caso fortuito riesce ad evitare di essere ucciso.
Terminato il servizio militare, visto che a casa la precaria situazione economica perdurava ed i debiti aumentavano, rimane a lavorare in Africa per più di tre anni presso il genio civile.

Qui fa amicizia con il signor Venuti di Palermo, con cui condivideva il destino di pagare i debiti per la famiglia. I due facevano enormi sacrifici, dormendo sotto una tenda e inviando regolarmente il proprio stipendio a casa.
E poi quando è tornato a casa si è innamorato della mia mamma Caterina, che come tutte le mamme era bellissima. E mi commuovo al pensiero di mio papà che è andato da Giovanni, fratello di Caterina e valente meccanico, e gli ha detto: “Me piaseress la tò sorela” e  lo zio Giovanni gli ha dato una manata sulla spalla: “Brào!”.

Mia mamma, Caterina Bergomi detta “Catina sembrava davvero un’attrice del cinema.
Era stata scelta per fare i giochi ginnici dinanzi al Duce, a Roma. Fu in quell’occasione che, a pranzo, aspettando che arrivassero i camerieri, si mise a gustare i buonissimi panini sul tavolo e quando arrivarono portate prelibate lei ormai era già sazia di panini…

Poiché anche la sua famiglia non navigava in buone acque
, lavorava come addetta all’uccelliera presso il famoso dottor Antonio Duse. Raccontava che a volte riceveva le telefonate di D’Annunzio, paziente del dottore. Si vedeva il vate passare a Salò sopra un gran macchinone, con la sua pelata accanto alla folta chioma di qualche femme fatale.

Mia mamma Catina era figlia della Checa (Francesca) che, rimasta prematuramente vedova del mio nonno Secondo (da qui il nome di un mio fratello), per mantenere la famiglia si recava al lago con la sua carriola e la “scagna” per lavare i panni dei benestanti salodiani. Abitava in Fossa, dove un tempo c’era il Teatro Vecchio. E poiché mia nonna Margherita abitava in vicolo Orti dietro il teatro di Salò, forse è da lì che mi è nata la passione del teatro.

Quando i miei genitori si sono sposati
(la Messa era stata celebrata da monsignor Ferretti) sono andati in viaggio di nozze a Venezia, ma vedevano già partire i treni pieni di soldati, e la guerra stava arrivando…Mia mamma raccontava barzellette al mio papà, ma lui diceva “Dìmel quand che ghò da rider…”

Nel 1939 il mio papà viene richiamato per la campagna di Francia, poi spedito in Albania e infine in Grecia.
Ma nel 1943, dopo il fatidico 8 settembre, viene fatto prigioniero dalle truppe tedesche. Sarebbe destinato a lavorare in miniera in un campo di lavoro in Polonia, ma fortunatamente grazie alla conoscenza della lingua tedesca acquisita alla Giovane Salò gli viene conferito il ruolo di interprete tra i prigionieri ed i soldati tedeschi.

Poi si è fatto spedire un vocabolario tedesco-italiano da casa. I libri a volte salvano la vita.
Raccontava di aver visto un prigioniero italiano ucciso da una raffica di mitra per aver allungato la mano per raccogliere una patata, fuori dal reticolato. Mamma mia!

E quando sono arrivati i russi ed hanno liberato il campo, il mio papà è stato fermato da un ragazzo russo ubriaco e con il mitra in mano.
Teneva una sveglia al collo, stava per sparargli ma per fortuna è arrivato un altro russo che ha dato due ceffoni al ragazzo e mio papà si è salvato.

Si è fatto tutta la strada dalla Polonia all’Italia a piedi, attraverso un viaggio avventuroso e pieno di insidie, passando per l’Austria.
Un giorno vide fuori da una canonica austriaca un bel paio di scarpe e le ha prese (qualcuno dice sorridendo che lì sono iniziate le Calzature Comini).
Ma erano passati molti giorni, e non era ancora arrivato a casa. Mia mamma aveva sentito che molti prigionieri si trovavano a Linz, e avrebbe voluto andargli incontro.
Tutti i santi giorni la nonna Francesca lo aspettava alla fermata del tram.

Un po’ alla volta tutti tornavano, ma mio papà non era ancora arrivato a casa.
E mia nonna e mia mamma aspettavano sempre, e nessuno aveva il coraggio di dir loro niente. Perché tanti non erano più tornati, perché la guerra è una cosa brutta e cattiva.
E la guerra ormai era finita, ma mia nonna aspettava sempre alla fermata del tram.

Finché un giorno è sceso dal tram uno così magro, ma così magro
, ma l’ha riconosciuto subito che era il suo Luigi, e allora mia nonna ha attraversato la Fossa camminando verso casa, e non aveva parole, e il cuore le tremava dall’emozione, e mio papà dietro, e camminavano senza dirsi niente.

E ancora adesso che sto scrivendo mi scoppia il cuore e non riesco a immaginare il volo di mia mamma verso il suo Luigi. Era un bel giorno di settembre del ’45.
“Io son sicuro che, per ogni goccia
per ogni goccia che cadrà, un nuovo fiore nascerà
e su quel fiore una farfalla volerà
Io son sicuro che, in questa grande immensità
qualcuno pensa un poco a me
non mi scorderà
Sì, io lo so, tutta la vita sempre solo non sarò
e un giorno io saprò
d'essere un piccolo pensiero
nella più grande immensità
del suo cielo.”
(Don Backy)

Dall’amore dei miei genitori sono nati Franco (nel ’41), Secondo detto Dino (nel ’42) e  Rita (nel ’43).
Dopo la fine della guerra arriverà poi Mariangela che morirà di difterite nell’aprile del ’51, a soli 4 anni e mezzo.
Ogni giorno c’era un funeralino, passava una bara bianca e la gente si levava il cappello.

Quando Mariangela si è ammalata, hanno chiamato il dottore, ma era alle prime armi e ha sbagliato la diagnosi. E quando Mariangela è morta all’Ospedale di Salò, mio papà l’ha portata a casa in braccio, e sembrava che passasse un angelo.
Al sacerdote che cercava di consolarla, mia nonna diceva “Perché el Signur el fa mörer i pitì? Perché el m’ha mia töt sé mé?

Mio papà guardava il fuoco e pregava in silenzio.

Mia mamma  ha sempre detto che è stata salvata dalla fede. Tra l’altro pochi mesi dopo era morto d’infarto anche il fratello Giovanni (ecco perché mi chiamo così). 

Nel ’52 sono nato io, e mi han sempre detto: “Te set nasit che töcc i piansìa”.
Successivamente nel ’54 è nata mia sorella Valentina e la mia famiglia si è trasferita a Gavardo, in Piazza De Medici, vicino alla Parrocchiale.
Dall’altra parte del muro della nostra casa c’era la canonica. Mio papà mi diceva sempre: “El Monsignor el dorma visì al mé cò”.

Nel 1946 mio papà apre un negozio di scarpe in via Quarena, in società con il Contarelli.
Mio papà aveva diritto all’apertura del negozio, essendo reduce di guerra, ma c’erano le solite difficoltà burocratiche e le gelosie tra commercianti. Allora ha chiesto aiuto a Monsignor Ferretti, con il quale si è presentato dal sindaco dottor Franchi.
Mio papà raccontava che lui stava dietro il monsignore, nascosto “come un cagnulì”.

Nel negozio si vendeva anche il cuoio e i chiodi, che si pesavano sulla bilancia.
Mio papà, per ingraziarsi i clienti, andava su e giù a Salò con il tram, per portare certificati e carte varie. Lavorava in società col mio zio Fausto, che aveva un negozio di scarpe a Desenzano dove andrà a lavorare anche mio fratello Dino.
Aveva una moto con dietro un cassone di legno per contenere le scarpe, con la scritta “W Juve”.

Nel 1958 il negozio si trasferisce in Piazza Marconi, dove era stato costruito il cosiddetto “grattacielo” accanto al fiume.
Non c’era abbastanza lavoro per tutti, per cui mio fratello Franco andava a lavorare in bicicletta alla Falck a Vobarno.
Chi lavorava alla Falck andava anche in marina.

Poi mio fratello Franco è andato in Perù perché mio zio don Tranquillo aveva avviato una piccola impresa di costruzione di mattoni.
Ma il progetto non ebbe seguito, perciò Franco tornò e mio papà Luigi decide di dividersi dal fratello per proseguire coadiuvato dai figli Franco e Dino.
È il 15 giugno 1965 quando il negozio “Calzature Comini” di Salò viene aperto nell’odierno locale di via San Carlo. Franco terrà il negozio di Gavardo, Dino quello di Salò.

Mio papà passava molto tempo sulla corriera da Gavardo a Salò con un pacco di scarpe legato con lo spago, per poi ritornare, sempre con il suo pacco di scarpe (in una scatola c’erano anche i soldi, ma questo non si doveva sapere…).
La SIA gli regalò l’abbonamento di un anno per i suoi 40 anni di viaggi in corriera. E mi ricordo che parlava con tutti, ed a tutti donava il suo sorriso.

Ringrazio il Signore per avermi donato mio papà.
Un papà che ha vissuto sempre per la famiglia. Un papà che era talmente buono che non mi ha mai dato la più piccola sberla. Che non mi ha mai sgridato, quando giocavo a palloncino all’oratorio sul davanzale del Batista Poletti gridava: “Giovanni!”, ma era solo per dirmi di tornare a casa.

Un papà che non mi faceva prediche, mai, ma come mia mamma mi ha trasmesso una fede piena d’amore.
Un papà che mi ha sempre lasciato libero di scegliere il mio cammino nella vita. Un papà che ha allargato la famiglia al nonno Angelo, alla nonna Margherita ed alla zia Giulia, e la casa era sempre aperta a chiunque avesse bisogno di affetto.

Eravamo in 10 in quella casa, ma era come vivere una commedia serena, con momenti allegri e tristi, ma sempre illuminati dalla preghiera e dalla tenerezza.
Ringrazio il Signore per avermi dato un papà talmente buono che solo alla fine ho scoperto che non mi dava carezze, ma me le lasciava dare tutte da mia mamma. Un papà che, quando mamma Catina è andata in Paradiso, ha seguito la zia Giulia e le ha sempre fatto compagnia.

E approfitto per ringraziare le signore polacche
, Elena, Suava, Barbara, Giuseppina, Stefania e tutte le altre dai cognomi difficili e dal sorriso chiaro, che per anni sono state come sorelle e madri per il mio papà, e che come lui hanno lasciato la patria per aiutare la propria famiglia.

Un giorno mia zia Giulia aveva detto:Stasera ala televisiù i fa la vita de San Francesco”. Allora tutta la famiglia è stata in piedi ad aspettare fin dopo le 22, fino a quando sono apparse alcune immagini di grattacieli e di auto americane, allora mio papà ha detto: “Giulia, ma set sicura?” Certo, l’ho lisit sel’Avenire”
Poi sono apparse immagini di donne piuttosto discinte, e la mia mamma ha detto: “La sarà una versione moderna de San Francesco” finché è apparso il titolo “Sulle strade di San Francisco” e siamo andati tutti a nanna.

Ho alcune immagini nella mente.
Mio papà che salta nel letto felice, coi suoi mutandoni di lana, lui che aveva fatto la guerra, lui che aveva sofferto e fatto mille sacrifici per tirare avanti la baracca della famiglia.
Mio papà che aiuta mia mamma a far da mangiare.
Mio papà che grattugia il formaggio.
Mio papà che al mattino ascolta la radio e intanto si mette i calzoni appoggiati alla sedia.
Mio papà che mentre guardiamo la televisione in bianconero va a dormire prima del finale caricando la sveglia.
Mio papà che mi offre il gelato.
Mio papà che fa il bagno per ultimo, usando l’acqua di noi bambini.
Mio papà che parla a bassa voce con mia mamma nel lettone.
Mio papà che dà una carezza a mia mamma e le dice “La mia vita!”.
Mio papà che mi manda a prendere il vino nella buia cantina e quando torno mi dice “Bravo, un alpino non ha paura di niente!”.
Mio papà che anziché le fiabe mi racconta la storia vera della sua guerra, e fra i  tedeschi che sparavano ed i russi che avanzavano, tra gli abissini e le cannonate, io mi addormento beato.
Mio papà che prima di andare in negozio da un bacio a mia mamma, sulla porta, in fondo al corridoio.
Mio papà che dice le preghiere della sera e ricorda tutti i membri della famiglia, fino ai nonni ed ai bisnonni.
Mio papà che va al cimitero a trovare la mia mamma e tornando dice “Me toca lasala là”.
Mio papà che ascolta felice mia sorella Rita mentre gli fa compagnia.
Mio papà nel letto che non sta bene, e io che piangendo ascolto la canzone di Bocelli “Con te partirò” e prego il Signore che non lo faccia soffrire, che ha già sofferto abbastanza.
Mio papà che guarda la foto di mia mamma e sento che ha voglia solo di riabbracciarla.

Ecco, cara maestra. Ho parlato del mio papà.

Non mi ha mai detto che mi voleva bene. Non ce n’era bisogno. Mi voleva bene e basta.
C’è un comandamento che dice: “Onora il padre e la madre”. Per me è una gioia. E adesso che siamo tutti un po’ impauriti per il futuro, penso a mio papà che ha fatto sacrifici immensi per aiutare la sua famiglia. E allora ho meno paura.
Tra pochi giorni è primavera. Ciao papà.

“Prima di primavera ci son dei giorni
che abita già sotto la neve il prato
che sussurrano i rami disadorni
e c'è un vento dolce e alato
Il tuo corpo si muove senza pena
la tua casa non ti par più quella
tu ricanti una vecchia cantilena
e ti sembra ancora tanto bella.”

(Anna Achmatova)

Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo
maestro John Comini

Nelle foto: mio papà soldato tra i fratelli Fausto e Vittorio. I miei fratelli Franco, Dino e Rita. Mio fratello Franco in divisa da marinaio sul terrazzo del “grattacielo” gavardese. Mio papà tra i miei cugini di Salò (Emilio, Gian Paolo, Annalisa, Rosaria e Gualtiero).



Commenti:
ID75561 - 18/03/2018 15:32:31 - (Iva) - Complimenti Maestro

UNa lettera davvero commovente questa. Complimenti

ID75567 - 19/03/2018 18:40:38 - (Lele49) - Libro

Bellissime lettere. Perché non fa un libro?

ID75938 - 27/04/2018 15:23:53 - (Lugi) - Ludwig

Bravo zio. W il nonno Luigi

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