21 Giugno 2020, 09.11
Blog - Maestro John

Vanna e Fabrizio, maestri 10 e lode

di John Comini

La mia ex collega Vanna Ferraboli va in pensione. Ancora qualche riunione, qualche incombenza del registro elettronico, e poi… una vita in vacanza!


So che Vanna non ama gli addii
e le frasi retoriche: ecco perché le dedico queste parole, eh eh eh!

Per molti anni (una vita!) ho lavorato con lei. Ricordo la mitica scuola di Prevalle San Zenone, quando la maestra Franca Filisina mi disse: “John, domani arriverà la maestra Vanna: è la persona più buona del mondo!” Ed aveva ragione!

Con Vanna e Franca abbiamo creato il modulo migliore del mondo (per la presenza di un maestro di cui non rammento il nome… ). La vita è l’arte dell’incontro, e io sono stato fortunato a conoscere la mia “Vannina”!

Vanna ha uno spiccato senso estetico, in ogni cosa che fa –anche in un semplicissimo cartellone murale - ci mette una creatività da vera artista. Insegna la lingua italiana in un modo davvero splendido.

Quando entravo nella sua classe, si percepiva un clima di sereno lavoro: tutti i bambini erano coinvolti e davano il meglio di sé. Vanna dispensava suggerimenti con ferma dolcezza, e tutti i bambini erano contagiati dal suo modo di essere.

Ogni tanto qualche alunno le lasciava un disegno pieno di cuoricini con la scritta “Come sei bella!”. Forse è per questo che si dice che insegnare è “il più bel mestiere del mondo”. Perché a scuola si impara, tutti insieme, come diventare grandi, giusti, un po’ meno egoisti e soprattutto felici.

Con Vanna nessun bambino si è mai sentito escluso, ma valorizzato per quello che sa offrire agli altri. Le sue lezioni non erano mai fredde o nozionistiche, ma erano ricche di relazione, autentiche, accoglienti. Vanna utilizzava molte volte il disegno o il ritaglio, collegandolo all’apprendimento della lingua italiana.

Quest’anno avrei dovuto incontrarla per far rappresentare alle classi seconde (con il mio amico maestro Luca, con la maestra Bruna Bodei e altre) uno spettacolino su Pinocchio. Ma poi le scuole sono state chiuse. Ammazza al virus!

Vanna era la regina de “La scuola in mostra”, l’esposizione dei vari progetti svolti dalle classi durante l’anno. Sebbene tutti gli anni ripetesse: “Non la farò mai più, mai più!”, poi vi si gettava con entusiasmo. E quando tutto era finito ed aveva avuto un grande riscontro, si lamentava perché dovevamo buttar via tutti i cartoni.
È successo davvero: io stavo portando giù dalle scale i cartoni da mettere nel cassonetto, e ho incrociato Vanna che saliva le scale per riportarli su…

Con la brava maestra Elvira Chiodi organizzava il fantastico ‘Theatrino’, svolto da animatori madrelingua, che hanno insegnato l’inglese divertendo. Nei corridoi girava voce che, nonostante la Brexit, la “mia” Vanna fosse insieme ad un bell’inglese. Ma sono dicerie di maestre invidiose…

Di Vanna (che ha una mamma dolcissima, fratelli creativi e la sorella Marina che insegna alla materna) conservo alcuni stupendi libretti di poesie scritte dai bambini.

Cara Vanna, quante parole hai insegnato? Parole per dire, parole per imparare, parole per raccontare, parole per capire, parole per domandare, parole allegre e parole tristi, parole da inventare e parole da donare… E quanti libri hai fatto leggere? E quanti quaderni hai corretto? Quaderni a righe come sentieri che portano lontano, pieni di ostacoli, di macchie e di errori, ma anche aperti a grandi orizzonti.

Ricordi, Vannina? Quanti riunioni di modulo abbiamo fatto? E i verbali? Io li scrivevo, ma te li facevo leggere, per un controllo della maestrina dalla penna rossa…E le gite insieme, l’arrivo della LIM, le prove Invalsi.

E i “miei” spettacoli,
dove con materiale povero e di scarto creavi meravigliosi costumi. E la tua inconfondibile risata, quando ti dicevo le battute sul mondo della scuola.

E il momento della scheda di valutazione, in cui eri preoccupata dal dover scrivere un voto o un giudizio: non ci piaceva misurare i bambini e classificarli.

Quanti compiti hai corretto Vannina? Non so se avrai grande nostalgia dei Collegi dei Docenti, che quando il tempo sta per scadere c’è sempre qualcuna che alza la mano e ‘Scusi Dirigente…’ e tutti amiamo quella persona così ligia al dovere che fa le domande a tempo scaduto e siamo attentissimi a quel quesito che sicuramente sarà fondamentale… vuole il microfono? No no non è necessario… ma sì dai che te lo mettiamo noi il microfono!…

Immagino questi ultimi mesi di scuola “da remoto”, con te impegnata a inviare compiti e a correggerli via computer. Tu, che come me in queste cose sei piuttosto “inganfita”, avrai fatto una fatica inimmaginabile.

Cara Vanna, sono stato fortunato ad averti incontrata. E sono certo che siano stati fortunati anche i bambini, che hanno trascorso gli anni importanti e formativi della propria vita con una maestra come te. Di te avranno per sempre un bellissimo ricordo, e una grande riconoscenza per i valori essenziali della cultura e della vita che hai trasmesso con il cuore. Ti sembra poco?

La maestra Franca mi ha inviato una poesia davvero bella e commovente scritta e letta dal maestro Fabrizio Landi. L’ho conosciuto quando Muscoline era nel Circolo Didattico di Prevalle: ho sempre apprezzato la sua intelligenza, la sua cordialità, la sua passione educativa, unite alla competenza professionale ed al senso dell’umorismo.

Nell’ultimo periodo ha lavorato per il Centro Provinciale Istruzione Adulti, svolgendo corsi di italiano per immigrati. È in pensione da settembre 2019. Alpino doc, è stato sindaco di Muscoline e cantore nel glorioso coro "La Faita" (talvolta, quando può, partecipa a qualche concerto o presentando la serata, in cui si dimostra sempre ‘all’altezza’).

Narra la leggenda che abbia incontrato la simpatica moglie Cristina durante una tournée dei coristi in Sardegna. Fabrizio era bravo anche a far cantare i bambini in coro: ricordo un interessante e coinvolgente aggiornamento da lui tenuto sulla musica. Ora è nonno strafelice di Matteo, il bel nipotino figlio di Emanuele Landi e Marta Vincenzi.

Fabrizio aveva vinto il Premio Cesare Cavagnini, concorso di poesia dialettale 2018 indetto dall’Associazione Borgo del Quadrel di Gavardo, con la bella poesia “El Cés urgugliùs”. Ora ha scritto questa bella poesia, ‘El rosegnöl el canta amó’: la potete trovare su Facebook.

Con queste premesse…

“Da bambino ho abitato nella frazione “Chiesa”, in una casa che si trovava proprio ai piedi della collina di Castello; oggi quella via è intitolata a  Gilles Villeneuve. Ho trascorso lì gli anni dal 1963 al 1980; prima, dalla mia nascita – avvenuta in casa – abitavo in un fabbricato che esiste ancora oggi in via Marconi, di fronte alla Scuola Materna “Morelli-Rebusca”, ed era sede di un’osteria denominata “Circolo Combattenti”.

Dall’età di sei/sette anni, tutte le sere salivo nella frazione Castello dove, ai piedi della torre campanaria, c’era la fattoria di Ettore Zentilini – che era anche campanaro – e la moglie Agnese Bignotti, dove prendevo una bottiglia di latte appena munto.

Il mio percorso era un sentiero che si inerpicava in mezzo al bosco della collina già citata: era un passaggio tortuoso e stretto che conoscevo a memoria e che percorrevo al ritorno a gran velocità, non solo perché in discesa, ma anche perché – talvolta – c’era ormai buio ed io avevo un po’ di timore; spesso, per confondere i rumori del bosco, mi mettevo a cantare o a fischiettare…

In primavera, tra aprile e giugno, soprattutto nelle prime ore notturne, da casa mi piaceva ascoltare il melodioso canto dell’usignolo, che sembrava voler comunicare qualcosa attraverso quelle deliziose note. Nei giorni scorsi, proprio a motivo della completa assenza di rumori serali e notturni, dovuti al “lockdown”, a causa del terribile “Covid 19”, ho potuto riascoltare chiaramente questo formidabile canto notturno, che si diffonde nella collina denominata “Guarda” e che separa la frazione Castello da Cabianco. E mi è venuto in mente di raccontare qualcosa… ”.

EL ROSEGNÖL EL CANTA AMÓ

“Töte quante lé sére, quand che mé sìe on gnarèl,
a tö ‘l lat èn butìlia vignìe sö ché ‘n Castèl.
Traersàe töt èl mut, anche se gh’ira fósc,
nàe dré a on sentér che passàa lé ‘n del bósc.

Dala “Ceza” a la tór, sic minücc j-éra assé:
le mé gambe j-è cürte, ma le fàe nà ón gran bé!
Ma se l’Etore o la Agnese i gh’ira gnamó smunzìt,
me fermàe ón po’ a züga, fin che i gh’ira finìt.

La stagiù, la piö bèla, l’ira la primaéra,
e me stàe lé ‘n Castèl fino a quand vignìa  séra.
Quando po’ turnàe ‘ndré, uramài gh’ira za scür,
dré al sentér me sübiàe, per esser ón po’ piö sücür.

L’è ‘nütil scundìl: me gh’ìe ‘na gran póra
perché ‘n del mut gh’ira ‘l “luf” o la “gata móra”.
E quand, riàt a casa, finìe po’ de sübià,
col cör che batìa a “sènto” restàe lé a scultà.

Vardàe èl bósc töt négher e sintìe ón usilì
che a cantà el continuàa sensa mai finì.
“Papà, come se ciàmel”? ghé domandàe curiùs.
“L’è ón rosegnöl: èl canta có la so bèla ùs”.

Stàe dèle mez’ure a scultàl: l’ìa tròp bèl
e l’empinìa, col canto, töt èl mùt de Castèl.
Ma i agn i passa èn frèssa, sinquanta e anche piö
e sóm riàcc pian piano al tép del dé d’èncö.

Iér séra só nat föra da l’ ös dèla cuzìna
e me só sintàt zó sö la mé scagnilìna.
Gh’ira nissü ‘n giro, nissü dré ala strada
e só stat lé a scultà Castèl, che l’è la mé contrada.

Vizì gh’è ón cap e la “Guarda” póc dé lóns:
l’è ón mut endóe ‘na ólta tróaem ón sac dé fóns.
Fàe sito e scultàe en dèl có i mé pensér,
confrontando i nömer dei mórcc de ‘ncö e de iér.

Ma nò, j-è mìa nömer! J-è persùne, i gh’à ón nòm:
óna stória, óna faméa, sia le fónne che i òm!
Dé sté virus tremendo ghé n’è ón sac dé malàcc,
vergü i resta en faméa, vergü ricoveracc.

Töcc i spéra che ‘l passe, töcc i völ tirà ‘l fiàt;
tancc i sèrca ón rimédio, ma gnamó i l’ha troàt.
I dutùr, i ‘nfermiér i laùra dé e nòt:
gh’è chi pians, ghè chi rid e chi züga po’ al “Lòt”!

Per vergü cambia niènt, per vergü cambia töt;
gh’è chi parla tròp tant e gh’è chi resta möt.
Mia óna ùs, mia ón rumùr, gh’ira gna ón fil de vènt:
có le strade desèrte se sintìa pròpe niènt.

El Castèl, da la Guarda, l’è mìa tròp de lontà;
gh’ira scür e, a chèl punto, gh’ó sintìt a cantà…
Che bèi suoni, che ùs: l’ira amó l’usilì
che sintìe èn primaéra quand che sìe ón pütì.

L’è ‘l nòs bèl rosegnöl, per lü gh’è cambiàt niènt:
la melodìa l’è amó chèla del Mile e Nöfsènt.
 “Chè vöt dìm, usilì, quand tè sènte a cantà?
Gh’óm dè nà piö a bel’aze, ó fermàs a scultà”?

“Per scultà gh’è le oréce, ma ghé völ apò ‘l cör;
gh’è vergü che sta mal, vergü óter i mör.
Ma se gh’è tròp rumùr e ‘l deènta ón fracàs,
töcc i alsa la ùs e nissü piö che tas.

Deéntòm surcc có le oréce, ’pò cól cör e ‘l sèrvèl;
vulì semper nà avanti, mai fermav ón tochèl…”
Adès sente piö niènt: l’usilì el s’è fermàt:
saràl stöf de cantà, sensa esser scultàt?

Lìe sö dala scagna perché sente vers Bressa
che vergü i va dé ónda, i gh’à certo gran frèssa.
L’è de cursa, la sculte, l’è sücür l’ambulansa:
en dèl sènter la sirena me vé amó el mal dé pansa.

Dize sö ón orassiù per chèl póer malàt;
per l’autista e ‘l dutùr, perché i l’habes salvàt!
Gh’è vergót che ‘n dèl cör èl mé dìs dé sperà…
De lé ón pó’, en mès al bósc, sé sènt turna a cantà.”

Grazie, caro Fabrizio, maestro e amico!

Termino con alcune struggenti parole che mi ha scritto la brava maestra Rosaria Zentilini, che ha conosciuto il caro Roberto Taroli da bambino… “Quando ho sentito che la tragedia era successa ad Agnosine, mai avrei pensato che potesse trattarsi di Roberto. All’inizio si fanno mille pensieri, ma poi capisci che è inutile. Quindi credo che l’unica cosa da fare è ricordarlo nei momenti più belli. Quando ho pensato a lui ho avuto davanti agli occhi quando, in quarta, sul pullman che ci portava in gita, cantava a squarciagola le canzoni del momento. Oppure allo spettacolo finale di quinta, quando entrava in scena, vestito da Lucignolo, con quell’andatura di chi era entrato nella parte. E infine, l’estate scorsa, quando tra le luci della pista da ballo ho intravisto questo ragazzo. Sono andata a salutarlo perché, anche a distanza di anni il suo sorriso non era cambiato e l’ho subito riconosciuto. Roberto è stato un bambino vivace, ma sempre rispettoso. Allegro e di compagnia e, dopo aver visto l’immensa folla di giovani presente al funerale, ho capito che non era cambiato.”

Grazie, maestra Rosaria. Un grande abbraccio!

Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo
 maestro John

Nelle foto:
1) Io, Vanna e la luna (grazie all’amica maestra Sara Ragnoli per la foto)
2) Vanna, Franca, il sottoscritto e alcuni bambini (ora grandi!)
3) Vanna tra le maestre Nadia Bruschi e Fiorella Marai
4) Fabrizio con la moglie Cristina




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