04 Ottobre 2012, 08.00
Punti di Vista

Provinciale e provincialismo

di Aldo Vaglia

Coltivare il culto delle celebritŕ, pensare che tutto ciň che viene da fuori č bello, stigmatizzare come poveracci quelli che fanno cultura locale, č provincialismo


Ci sono parole che hanno una connotazione talmente negativa che vengono usate solo in modo denigratorio.
Una di queste è: “provincialismo”.
Sinonimo di grettezza chiusura mentale, inettitudine, tanto da far dire a Prodi in visita in Cina: “ il provincialismo è la tragedia del mio paese”.
L’intento non era quello di elogiare la nazione che lo ospitava, più semplicemente intendeva rimarcare l’atteggiamento miope e imprevidente di porre ostacoli alla libera circolazione delle merci invece di fare accordi con un’economia emergente che in poco tempo sarebbe diventata travolgente.
Al provincialismo si aggiunge spesso l’esterofilia, un atteggiamento di sudditanza psicologica e di invidia, per cui l’erba del vicino è sempre la più verde.

Eppure senza alcun timore di essere inglobati nello stereotipo italico alcuni intellettuali trasformano questi difetti, se non in pregi, quanto meno in caratteristiche seduttive.
Giorgio Bocca, vissuto in una grande città testimone e cronista della vita italiana dell’ultimo secolo, non dimentica le sue origini provinciali che considera motivo di fierezza e di diversità, rispetto a ciò che è apparenza generalizzazione e moda.
 
La provincia ha il dono della concretezza, a volte della testardaggine nell’esprimere le proprie idee, ma è l’Italia più vera, quella di cui i giornali e la televisione non si occupano più.
“Il provinciale” è il titolo del suo romanzo autobiografico in cui si intrecciano storia maggiore e minore, grandi personaggi e oscure figure.
La guerra partigiana, Torino e l’immediato dopoguerra, Mattei e Rizzoli, gli industrialotti di Vigevano, Lascia o Raddoppia, il delitto Fenaroli, il sessantotto, gli anni di piombo, la mafia, il generale dalla Chiesa, ma anche i vignaioli di Barbaresco e gli uomini delle montagne piemontesi e valdostane.

Col titolo “Provinciali è bello” è anche l’incontro avvenuto a Roma tra l’ecologista Alexander Langer che intervista per “Tandem” lo scrittore Leonardo Sciascia.
“Lontano dalla sua Sicilia e dal mio Tirolo ho un po’ di timore di non riuscire a comunicare il mio amore per la mia terra” dirà Langer.
“Non c’è nulla di più provinciale dell’accusa di provincialismo, trovo io, esordisce Sciascia….. Cosa s’intende per provincialismo? Forse il fatto fisico di vivere in provincia? O il comportarsi secondo canoni di arretratezza, di incultura, di barbarie? In questa seconda accezione io non credo che esista un provincialismo. Si può essere provinciali, a Roma, a Parigi, a Londra, a Bruxelles, come ad Agrigento o Bolzano. Io comunque devo dire che le persone più colte e più informate che io abbia conosciuto, le ho sempre trovate in provincia”.
 

 



Commenti:
ID23516 - 04/10/2012 22:16:24 - (Leretico) - Il disprezzo dell'economista

Se l'economia della competizione si ciba di volumi, di dimensioni elevate, di masse enormi non è detto che tutto debba essere giudicato con questo metro. L'uomo ha un'altra dimensione, più ridotta nella dimensione spaziale ma grande in quella culturale. Non sanno i Prodi e quelli come lui che si spacciano per economisti che il mondo non può andare avanti con l'economia di scala e il razionalismo esasperati, il riduzionismo indiscriminato senza l'uomo? E guarda caso l'uomo di provincia e di questa pasta mentre l'altro essere umano, l'uomo economico, è un vivente dimezzato, quasi senz'anima. Il provinciale non è ancora totalmente ammalato, la sua cultura lo salva. Sciascia non poteva essere che l'esempio migliore di quella ricchezza e di questa denuncia. La sua Racalmuto era per lui metafora del mondo, nel bene e nel male. Ci manca un maestro come lui ed è speranza la sua indicazione che dalle piccole comunità nasca la vera grandezza.

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