19 Dicembre 2016, 06.52
Racconti del lunedì

Un Natale movimentato

di Ezio Gamberini

“Vó si vecc”, gli diceva ogni volta in cui lo visitava per vendergli le elegantissime confezioni che avrebbero contenuto i preziosi gioielli della sua oreficeria...


Arturo Benzi, quarantenne di bell’aspetto, moro, alto e aitante, aveva ereditato dal padre una grande fabbrica nella quale produceva esclusivi contenitori di gran pregio che offriva principalmente alle gioiellerie della regione.
Si occupava personalmente dei clienti più importanti, e il negozio di Puccio Dorelli, settant’anni compiuti ma portati piuttosto maluccio, era uno di questi, ubicato nella zona più bella del centro.

I due, entrambi “ricchi sfondati”, come si suol dire, si conoscevano ormai da una ventina di anni e risiedevano nella stessa città.
Col tempo avevano preso confidenza, ma il giovane non aveva perso il vezzo di dargli sempre del “voi”, in ogni circostanza.

Succedeva così che in occasione delle visite, ogni venerdì, dopo aver trascritto gli ordinativi delle confezioni, Puccio chiedesse al giovane amico i programmi per il fine settimana:

“Oh, niente di speciale: stasera apericena con gli amici, mentre domani e domenica, delizioso e infuocato fine settimana con la Patty a Fortepianoso, sul lago d’Orca…”. 

“L’infuocata Patty questa settimana - pensò il vecchio – la caldissima Giusy l’altro sabato, l’incandescente Betty quello precedente, la bollente Romy il mese scorso, e poi la focosa Glory, la rovente Mary, la fiammante Terry, l’ardente Milly… Ma questo canchero va con tutte quelle che finiscono con la ‘Y’, e senza mai bruciarsi?”, e masticava amaro, fino a quando arrivava la botta finale del giovane, che infieriva senza pietà:

“Ma perché spreco il mio tempo a dirvi queste cose? Voi… Voi…” e poi, perfidamente, con voce melliflua, gli sussurrava:
“Vó si vecc!”. 

Il gioielliere se le cercava proprio.
Non riusciva a evitare di chiedergli informazioni. Era anche successo, alcune volte, eccezionalmente e con uno sforzo immane; ma Arturo lo conosceva troppo bene e con un largo giro di parole e qualche ammiccamento, lo faceva cadere in trappola, obbligandolo a chiedergli che cosa avrebbe fatto l’indomani.
Allora il giovane gli raccontava delle uscite in barca, delle corse a perdifiato sul “quad”, delle lunghe arrampicate sulle rocce, delle combattute sfide a tennis, dell’ultimo concerto degli “Sfizio boys and their demented friends”…. salvo poi terminare ogni volta con il fatidico:
“Ma, Puccio, non sono cose per voi… vó si vecc!”.

La faccenda continuò per una decina d’anni, senza alcun rallentamento dell’attività frenetica da parte del giovane imprenditore, mentre per l’orefice il calo della forma fisica generale fu costante e inarrestabile.
Negli ultimi anni aveva assunto un commesso, bravo e fidato, ma estremamente discreto e sempre sulle sue.

A ottant’anni ne dimostrava alcuni di più; insomma, ora andava al rallentatore, e prese la decisione che aveva maturato negli ultimi sei mesi, in seguito a tutte le difficoltà incontrate nel sostenere anche le più semplici formalità di ogni giorno: vendette tutto, ricavandone un enorme profitto, e si ritirò nella dimora più esclusiva e prestigiosa della città, la “Residenza Anni d’Oro”, che accoglieva anziani e invalidi che se lo potevano permettere.

Si adattò ben presto al ritmo tranquillo delle giornate che trascorrevano sempre uguali, quietamente, mentre le forze lo abbandonavano progressivamente, con inarrestabile implacabilità. 
Dopo poco più di un anno si muoveva sempre con maggior lentezza, ma un giorno di settembre, consumata la colazione, successe una cosa straordinaria: mentre era seduto sulle panchine del magnifico parco che circondava l’edificio, come ogni mattina in cui la temperatura lo permetteva, vide che all’ingresso della casa di cura un’autoambulanza stava scaricando una carrozzella con, a bordo, un nuovo ospite.

Gli ricordava qualcuno; lo squadrò con maggiore attenzione … Sì, era ormai certo che fosse lui!
Balzò in piedi come una molla e gli si avvicinò: era il suo vecchio amico Arturo Benzi, messo proprio male! 

“Arturo, ma che cosa ti è successo?” gli chiese con la voce strozzata. 

Aveva la bocca storta e una metà del corpo sembrava senza vita, afflosciata come un pupazzo inanimato. 
Era successo un anno prima, quando l’imprenditore aveva da poco festeggiato il mezzo secolo: fu come un lampo, accecante, e poi il buio assoluto.
Quando si risvegliò, gli dissero che aveva avuto un ictus. Una parte del cervello si era irrimediabilmente deteriorata e la metà destra del corpo non rispondeva più ad alcuno stimolo; immobile, per sempre! Per rimettere in moto decentemente l’altra metà ci volle quasi un anno di fisioterapia, praticata in centri specializzati.
Quando si ritenne che le terapie avessero permesso di raggiungere il miglior risultato possibile, senza speranze di ottenere nuovi progressi, gli fu consigliata la “Residenza Anni d’Oro”, dove avrebbe trovato la soluzione ideale per soddisfare tutte le sue necessità, con personale competente, in una prestigiosa struttura immersa nel verde, l’ultimo agglomerato di vegetazione nel cuore della città.

E così ritrovò l’amico, se ancora si può considerare tale uno con trent’anni in più sul groppone che hai tirato in giro per una vita, facendogli pesare questa “particolarità”; insomma, pensava proprio di non meritarsela l’amicizia del vecchio.
Ma Puccio, che aveva sempre considerato il più giovane compagno non come un figlio, ma piuttosto come un fratello minore scavezzacollo e “disperato”, si rivelò invece premuroso e affabile; sembrava aver dimenticato tutti gli sgarbi subiti, e i due divennero ben presto inseparabili.

Anzi, era l’anziano che adesso prendeva in giro Arturo, quando saliva sul predellino posteriore della carrozzella per farsi trasportare in giro per il parco, oppure nelle frequenti scappatelle che facevano al bar, mezzo chilometro fuori dalla struttura, verso il centro, per farsi un aperitivo; il più giovane, con la mano “buona”, pilotava per mezzo dello joystick la carrozzella, che aveva un’autonomia di venti chilometri, ma era piuttosto maldestro, e allora partivano i rimbrotti:

“Gira, macaco! Prendila più larga quella curva, tontolone!”.

Quando giravano in coppia, sembravano i protagonisti del colossal Ben Hur, con Puccio alla guida della sua biga, e Arturo a fungere da quadrupede.
Però non se la prendeva, anzi, considerava tutto ciò un “pagar dazio” per il passato; in realtà si divertiva moltissimo, e insieme al vecchio trascorreva la maggior parte della giornata serenamente!

Anche quell’anno, già alla prima settimana di dicembre, tutti cominciarono ad appassionarsi per i preparativi del Natale che sembrava ormai alle porte: il grande albero addobbato, i festoni e le luci colorate, ma soprattutto l’enorme presepe al centro del grande salone. 
Puccio ricordava con gioia l’emozione provata l’anno precedente quando, pur ritrovandosi per la prima volta nell’accogliente struttura, volle comunque essere presente ai piedi della capanna, proprio allo scadere della mezzanotte del ventiquattro dicembre, come aveva fatto sin da bambino a ogni Natale della sua vita.
Per lui era una tradizione, e nulla l’avrebbe fermato: neanche il fatto che, lì dov’era adesso, la regola fosse di cenare alle cinque e mezzo con il risultato che alle diciannove e trenta in pratica non volava più una mosca, e alle venti iniziava il “coprifuoco”; insomma, tutti a nanna e arrivederci a domani mattina.

Lui invece era restato sveglio, e alle undici e mezzo sgattaiolò fuori dalla sua stanza al primo piano; per evitare l’ascensore e le scale interne, dopo essersi intabarrato ben bene, uscì sul grande terrazzo dal quale partiva uno scivolo con una dolce pendenza che conduceva direttamente al parco, ed era rientrato da una porticina che permetteva l’accesso al grande salone.
Fu davvero soddisfatto della sua bravata, e dopo aver salutato l’arrivo del Bambinello, tornò felice nel suo letto, sicuro di aver onorato a dovere la festa del Natale.

Ah, anche quest’anno avrebbe ripetuto l’impresa, e cominciò a persuadere l’amico per convincerlo che doveva essere della partita: 
Vó si vecc, e sunàt!”, affermò Arturo, pensando che stesse scherzando.
Ma dovette ricredersi e darsi per vinto, perché l’anziano lo “martirizzò” per due settimane, e alla fine cedette:

“Va bene, vecchio pazzo che non siete altro, farò quello che volete!”.

Arrivò la vigilia, e pareva dipinta da un’artista, perché era scesa una coltre di neve farinosa che aveva imbiancato ogni cosa; come per ogni Natale che si rispetti, i candidi fiocchi fecero la loro scenografica comparsa. La giornata trascorse tra mille scambi di auguri, in allegria e spensieratamente.
Dopo la cena, tutti si prepararono per andare a letto, e Puccio, nel salutare Arturo, gli strizzò l’occhio, bisbigliando:

“Ci vediamo alle undici e mezzo!”.

Ormai da più di tre ore regnava il silenzio assoluto, quando il vecchio uscì senza far rumore dalla sua camera e bussò delicatamente alla porta dell’amico, che si trovava sullo stesso piano: era già pronto, perciò partirono in direzione del grande balcone, per affrontare lo scivolo.

“Voi siete vecchio e suonato!”, continuava a ripetere Arturo, ma si caricò il vecchio sul predellino posteriore e partirono.

“Curva, curva macaco!”, ma all’improvviso si ritrovarono con le gambe all’aria, perché la carrozzella era scivolata sulla neve, andando a sbattere contro un pilone, in fondo alla discesa: una ruota si era quasi disintegrata, con i raggi spezzati e il cerchione deformato.
Si accorsero che sostanzialmente era andata ancora bene, perché la neve fresca aveva attutito il colpo, senza contare i pesantissimi cappotti che indossavano, preziosi nell’attenuare l’urto, e Puccio si rialzò alla svelta, mentre Arturo riuscì in qualche modo, aiutato dal vecchio, a rimettersi sulla carrozzella che però, a quel punto, in quelle condizioni, non avrebbe più potuto percorrere un solo centimetro.

Che fare? Aveva superato gli ottanta, ma il cervello era ancora integro e poi nel pomeriggio aveva mangiato un’intera scatola di biscotti Plasmon, per cui andava matto, e si sentiva lucidissimo e forte come un toro: proprio lì accanto c’era la porta del magazzino, entrò e vide a colpo sicuro quello che avrebbe fatto al caso suo.

Spostò la leva dell’accensione su “On”, e con la semplice pressione del dito condusse il transpallet elettrico (un gioiello, leggerissimo, con le forche lunghe un metro e mezzo) nei pressi della sedia a rotelle. Infilò una delle due forche in mezzo alle ruote e, in precario equilibrio, sollevò la carrozzella con relativo macaco di una ventina di centimetri e, dopo esservi montato lui stesso, senza fare alcuna fatica, manovrando i semplici comandi dello splendido attrezzo si diresse verso l’entrata del salone con il prezioso carico.

Mancava ormai soltanto un minuto a mezzanotte!
Quando finalmente giunsero dinanzi al presepe, ristettero, e presero fiato. Era tutto così bello!
Se non si fosse trattato di una scena vera, i due, a cavallo del transpallet, sarebbero potuti sembrare dei personaggi ritratti in una composizione astratta di Salvador Dalì, tanto erano scombinati e bizzarri.

Il buio era totale, eccetto le luci che illuminavano il presepio, e non si sentiva volare una mosca.
Fu solo allora che il vecchio aprì bocca:
“Ecco, te l’ho portato. E’ il mio amico Arturo…”.

Puccio parlava al Bambinello con la massima naturalezza, come se lo avesse sempre fatto, e ad Arturo si strinse il cuore; fu pervaso da uno stupore singolare e dolcissimo, mai avvertito in precedenza nei mille fantastici luoghi che aveva frequentato in occasione delle feste natalizie nella sua vita passata, trascorse a Cortina o a Dubai, alle Barbados o a Honolulu, a Phuket o a Malindi; per la prima volta si sentì veramente felice, e in pace col mondo, comprendendo finalmente cosa significasse realmente l’attesa del Natale, e il suo manifestarsi, come una rivelazione.

Ma la cosa più straordinaria accadde quando dalla mangiatoia si udì provenire un sussurro: era la voce di Gesù Bambino, che bisbigliò loro:
“Vó si macc!”.  

Puccio sorrise; se lo aspettava, e pure Arturo, che nell’ultima mezz’ora aveva provato più emozioni che in trent’anni della sua vita piena d’impegni e incontri, sentì di rivolgere un ringraziamento speciale al Bambinello, per avergli fatto incontrare di nuovo il suo amico Puccio, concedendogli di riassaporare il gusto di vivere e gioire, in un indimenticabile “movimentato Natale”.
 


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