29 Ottobre 2017, 10.57
Gavardo
Maestro John

Celeste nostalgia

di John Comini

In questi giorni ci hanno lasciato la maestra Rosa Folli e il maestro Angelo Ongaro. Tutti noi, nessuno escluso, ricordiamo benissimo i nostri insegnanti: ricordiamo bene i nomi, i volti, il timbro della voce, la figura, coi quali abbiamo una relazione di debito e di riconoscenza


Sono le persone che ci hanno insegnato innanzitutto che non si può sapere senza amore per il sapere.
Claudia De Lillo, alias Elasti, ha scritto un bellissimo ringraziamento alla sua maestra appena scomparsa.

Sono parole scritte solo in minuscolo, e sono parole commoventi.
“grazie, per avermi insegnato le doppie, l’uso dell’acca e la storia del signor P e del signor B che non vanno d’accordo con la signora N ma amano entrambi la signora M (e per questo si dice iMPetuoso e iMBottito e non iNPetuoso e iNBottito). per avermi trasmesso l’amore per la parole e per la grammatica. per avermi fatto imparare le tabelline con le canzoni che ricordo ancora e canto anche oggi ai miei figli (quella del quattro, che era una ninna nanna resta la mia preferita di sempre).
grazie per essersi accorta delle mie ombre e dei miei fantasmi e per avermi aiutato a sconfiggerli. per aver colto le mie timide luci e per avermele mostrate.
grazie per i sorrisi, per l’accoglienza, per quelle mani sempre bianche di gesso, per quel profumo, lo stesso per anni, che mi faceva sentire al sicuro, per avermi capita, per avere ascoltato i miei silenzi tremebondi di bambina fragile. grazie per avere dato un volto buono ma anche rigoroso ed esigente alla scuola.
grazie per averci chiesto il primo giorno di prima elementare di chiamarla ‘signora’ e di darle del lei perché il rispetto, nella forma e nella sostanza, va imparato da piccoli.
grazie per la professionalità e la passione che insieme sono capaci di miracoli.
grazie per avere costellato la mia infanzia di ricordi indelebili, per avere piantato semi fecondi che hanno messo radici forti e resistenti.
grazie per aver tracciato solchi preziosi e permanente nella mia coscienza bambina. li conservo gelosamente e spesso torno a ripercorrerli…
oggi se ne è andata.
ma sappia, signora, irene, maestra, che lei resterà sempre qui, accanto a me, ogni volta che scriverò una E con l’accento, una A con l’acca, una parola con la doppia.
con affetto,
sua c.”


Ricordo alcuni personaggi mitici della mia infanzia:
el Piereto che vendeva i gelati, el Giusti che cantava le romanze liriche sul ponte, el Zanasi con le pelli di coniglio, il signor Mabellini detto “El Galo” che girava con la sua Guzzi, chiamata “Galletto” (che bellezza, un Gallo sul Galletto!). 

El Galo faceva el sotramorc e accudiva due campi, il campo di footboll e il camposanto.
E poi c’era el Rivetta che andava in giro a vendere il pesce con il grido: Fomne el palumbo!

C’erano i canti degli ubriachi:Chi völ mia sintim a cantà, el naes a san Piero el naes a San Piero (e per decenza non scrivo cosa facesse a San Piero)…
Sul ponte passavano le ragazze e i giovani davanti alle Acli fischiavano: gnare, ffssttt…
Fuori dall’oratorio c’era sempre una voce che usciva dal cancello del ricovero: fffsss, gnaro, va a tem el toscano! Era il mitico “Giulieto”!

E come dimenticare l’ormai leggendario Monsignor Ferretti, la cui canonica era accanto al muro della mia casa in Piazza De Medici e mio papà mi diceva sempre: “El Monsignor el dorma visì al mé cò” (tra l’altro il primo matrimonio celebrato dal Monsignùr è stato quello dei miei genitori).

E il grande Piero Tedoldi, la cui voce era diffusa dal’altoparlane durante i tornei notturni all’oratorio: “Sportivi gavardesi, è scoppiata la guerra, guerra alla sete al bar dell’oratorio! Aggrappati alla grappa De Luca!”.
Il grande Piero (nella foto con il mitico Renato Paganelli), insieme al simpatico Vincenzo Mangiarini ed all’amico Tano Mora, era anche un eccellente attore.
Una volta durante lo spettacolo “W il Parroco” era apparso nella veste di Vescovo, e una signora del pubblico si è messa in ginocchio. La realtà supera la finzione.

Ricordo le suore Orsoline, nel grande e stupendo Monastero di Santa Maria.
C’era la campanella, vicino alla ruota di legno che le suore usavano per far passare una scodella di minestra ai poveri.
Come “el Zanela”, che mangiava la sua scodella e poi andandosene diceva: “Rierà i Rusi!

C’era il Placido Poletti (cugino “dritto” della mia suocera Virginia), che girava sulle strade piene di macchine con il suo carretto tirato da un cavallo.
Al funerale il feretro era adagiato sul “suo” carretto trainato da un cavallo, ed è stata una cosa davvero emozionante.

E, tra le mille persone conosciute, non posso dimenticare don Angelo, don Erminio e don Antonio Bonetta (nella foto di gruppo è il sacerdote con gli occhiali insieme a don Giovanni in partenza per il Burundi).

E poi ci sono i miei familiari, la mia zia Celeste, i miei zii, i miei cognati Mario Zucchetti, Mariarosa Avanzi, Andrea Avanzi, Giovanna Maccarinelli e Angelo Barovelli.
Li ho sempre dentro di me, nel mio cuore.

Ma non vorrei dimenticare nessuna delle persone che ci hanno lasciato troppo presto.
Ognuna di loro mi ha regalato qualcosa, anche solo una parola o un sorriso, e (se il Signore sarà buono con me) spero un giorno di incontrarli nell’eterna luce del cielo.

''Darei valore alle cose non per quello che valgono
ma per quello che significano.
Dormirei poco, sognerei di più.
So che per ogni minuto che chiudiamo gli occhi
perdiamo 60 secondi di luce di cioccolata.
Se Dio mi concedesse un brandello di vita,
vestito con abiti semplici, mi sdraierei, al sole
e lascerei a nudo non solo il mio corpo
ma anche la mia anima.
Dio mio, se avessi cuore, scriverei il mio odio sul ghiaccio
e aspetterei che si alzasse il sole.
Dipingerei le stelle con un sogno di Van Gogh,
con un poema di Benedetti, una canzone di Serrat (cantautore di Barcellona)
sarebbe la mia serenata alla luna.
Bagnerei con le mie lacrime le rose
per sentire il dolore delle spine
ed il bacio vermiglio dei petali.
Dio mio, se io avessi ancora un brandello di vita
non lascerei passare un solo giorno
senza dire alla gente che io amo, io amo la gente.
Convincerei ogni uomo ed ogni donna
che sono i miei favoriti
e vivrei innamorato dell'amore.
E dimostrerei agli uomini quanto sbagliano
quando pensano di smettere di innamorarsi
quando invecchiano senza sapere che invecchiano
quando smettono di innamorarsi.
Darei ad ogni bambino le ali
ma lo lascerei imparare, da solo, a volare.
Ai vecchi insegnerei che la morte
non arriva con la vecchiaia ma con l’oblio.
Ho imparato molte cose da voi, dagli uomini...
Ho imparato che tutti, al mondo,
vogliono vivere in cima alla montagna
senza sapere che la vera felicità
sta in come si sale la china.
Ho imparato che quando un neonato afferra,
per la prima volta, con il suo piccolo pugno,
il dito di suo padre, lo terrà prigioniero per sempre.
Ho imparato che un uomo
ha diritto di guardare un altro uomo
dall’alto verso il basso solo quando lo aiuta a rialzarsi.
Sono tante le cose che ho potuto imparare da voi
ma non mi serviranno davvero più a molto
perché quando guarderanno in questa mia valigia,
infelicemente io starò morendo."

(Gabriel García Márquez)

È autunno. Sarebbe una stagione straordinaria.
Ma…Se non piove, siamo fritti. La Pianura Padana è una coperta di smog.
La sindaca di Torino consiglia di chiudere le finestre. Arrivano immagini di gente che gira con le mascherine.

Forse era meglio dar retta a quel concorrente di “Portobello” (grande Enzo Tortora, grande e perseguitato).
In una trasmissione aveva avuto un’idea per sventare la nebbia in Val Padana: abbattere il monte Turchino, che separa la pianura dalla Liguria.

Un pazzo vero? Ma forse rischia di passare per pazzo chi vorrebbe l’aria buona, chi desidera combattere l’inquinamento…
Ma sembra che siamo tutti in altre faccende affaccendati. E certa gente continua a buttare i sacchetti delle immondizie lungo la strada.

Sento alla radio che Brescia sia la Terra dei Fuochi 2.
Sento alla radio che la vicenda della Caffaro costerà quasi un miliardo di euro per la bonifica.
Sento alla radio che ogni anno muore un milione di persone per lo smog. Forse era meglio spegnerla, quella radio.
Una volta dicevano: quando c’è la salute…E io che non ho mai fumato. Mi sa che morirò per il fumo, mi sa.

Guccini cantava
“Poveri bimbi di Milano, così fragili, così infelici,
che urlate rabbia senza radici con occhi tinti e con niente in mano.
Poveri bimbi di Milano, derubati anche di speranza,
che danzate la vostra danza in quello zoo metropolitano.”


Ma la canzone va aggiornata: Poveri bambini e basta.
Abbiamo tutta la tecnologia concentrata in uno smartphone, e non riusciamo a conciliare sviluppo ed ecologia.
Da quando sono bambino parlano di auto elettriche, ma poi cosa fanno i petrolieri, poverini?

Ricordo il signor Doriddo, in un’estate caldissima e arida, che durante una funzione religiosa per chiedere al Signore un po’ di pioggia andò in chiesa con un ombrello.
E la gente sussurrava: “Però, che fede el Doriddo!”

Bisognerà fare come gli indiani, la danza della pioggia.
I ghiacciai si stanno ritirando. I pinguini muoiono.

Sullo Spino il signor Damiani (una persona straordinaria, oserei dire “cristallina”, con cui passo il tempo a parlare delle cose del mondo sulla via romana) ha letto su un cartello la frase di un indiano:
“Solo quando l'ultimo fiume sarà prosciugato,
solo quando l'ultimo albero sarà tagliato,
solo quando l'ultimo animale sarà ucciso,
solo allora capirai (uomo bianco) che il denaro nelle banche non si mangia.”


Pare che ci sia anche un inquinamento delle anime
…pare che l’inquinamento ci faccia diventare meno altruisti e più rancorosi…
Ma forse è solo Halloween…

E per non finire in “bruttezza”, concludo con una comicissima poesia in dialetto di Angelo Canossi, il poeta della brescianità.
Aveva frequentato il liceo di Desenzano e visse molti anni a Bovegno (dove è sepolto).
La sua opera riscosse un notevole successo e se il suo nome non ebbe una più ampia eco lo si deve principalmente alla difficile accessibilità del dialetto bresciano. Il bravo Charlie Cinelli lo ha ricordato con canzoni e poesie, in occasione del 150° della nascita del poeta bresciano. 

La “Madóna” dèl Dutur                                (la suocera del Dottore)

Gh’è ‘n proèrbe chè ghà la barba e ‘l dis
chè le “Madóne” le sta bé söi mür
e a stà cói zèner le diènta bis:   
           (a vivere coi generi diventano bisce)
ön proèrbe chè ‘l-è, ’l só a’ mé, sgarbat,
ma nó só miga mé chè ’l-ha ‘nventat.
E po’, ‘ntendómes bé: j-è miga töte,
cóme sé dis, filade da ’na róca:
ghè ‘n-è a ‘dè bune, e mèi dè sèrte pöte,
e fortünacc chèi spus chè le ghè tóca:
fumnine a möt, chè a idìle le cunsula,
e sé dorès basà ‘n-dô chè le fula.   
          (si dovrebbe baciare dove passano)
Serte “madóne” ’nvece le par fade
pròpe pèr fàs dì dré dèle… madóne:
j-è pès dei calavrù, vèspe ‘nrabiade,
e, sé ‘l-òm nó ‘l fös sèmper ön pó tóne, 
      (sempliciotto… )
le ‘n sentarès sö pròpe d’ògni sórt:
e ‘nvéce nó i ghè ‘ngüra chè…la mórt.
E ‘n dé la Mórt l’éra vignida a véder
sé la Siura Betònega la ghìa
finalmènt intensiù dè lassàs mörer;
ma, troando lé ‘l zener chè ‘l ridìa
sóta ai barbis e lé sténca ‘n dèl lèt,  
    (irrigidita nel letto )
la l’ha cridida mórta, e tira drét.          (e passa via)
Èl l’hia cridida mórta anche lü ‘l zèner,
dutur dè ‘na condóta dè montagna,
chè stöf dè hìn pröàde d’òogni gèner
cón d’ön fiur dè ‘na piàtola compagna,
èl tè la ‘ncióda sübit èn do casse
e ‘l ghè fa ‘n-ubitù dè prima classe.
Deanti précc e disciplì cói mòcoi,
dedré fómne e vilanc, èn mes la mórta,
i va zó al camposanto scarpe e sòcoi:
atènti a nó ciapà quac bröta stórta,  
         (distorsione)
perché ‘l fa frèd e gh’è giassat i sass
e chi sbrìssia va a rìssio dè slogàs.
Ma zum, sbrìssia ‘n bichì sö ‘n d’ön cantù,
    (un becchino)
e j-àlter tré anche lur nó i sta piö drécc,
e zó cassa e ghirlande a birulù,
zó töt a “pataprum” söi cai dei précc  
própe ‘n dèl bèl chè cói so maraméi
j-éra al requiem aeternam dona ei.
Emmaginév chè rassa dè spaènt!
e la cassa ché sórt dè sconquassada!
I varda, e i sènt… emmaginév, i sènt
chè la mórta la s’éra dessedada        
         (destata)
e ché la usa: “Oh Dio! Signur! Madóna!...”.
Emmaginév ön pó chè maratóna!
I l’ha portada a casa del Dutur,
chè sübit èl capes chè sté gran scòssa,
envéce dè spidìla al Creatur,
la gh’ha prodòt nomösta ‘na gran mòssa
dè còrp e rissulvit èl mal dè pansa,
e chè l’è amò ‘n salüte e chè ghè ‘n vansa!
Ghè ‘n-è vansat amò pèr quàter agn,
ch’j-è stacc pèr èl Dutur tacc agn d’infèrno,
e la gh’è ‘ndada föra dî calcagn
nomösta ‘l-an passat a mèz invèrno.
Staólta ‘l gh’ha fat ‘n-òbet dè secónda,   (funerale di seconda classe)
ma cón trè casse, e ‘n banda lü pèr spónda.
Èl gh’è ‘ndat dré anche lü pèr precaussiù,
e, ‘n vista dè quac altra ‘mproïsada,
quand ‘l-òbet ‘l-è riat sö ‘n chèl cantù
èn-dô gh’éra sücès la birulada,         
              (ruzzolone)
èl gha usat sö: “Fin ché l’è ‘ndada lìssia,     (gridò)
ma atènti, fiöi, chè ché ‘l-è ‘ndòe sé sbrìssia!...”.
Riacc al camposanto co’ la cassa,
gh’era prònta la büsa e i sotradur, 
            (becchini)
chè i gha mès sura ön sic quintài dè lassa      (lastra di pietra)
còn sculpit sö pèr ùrden dèl Dutur
‘na crus, öna gran crus (la crus dèl zèner)
e ‘n-epitàfio ‘n lingua dè sté gener:

“LA SUOCERA BETONICA QUI GIACE,
PORTATA A SEPPELLIR GIÀ UN’ALTRA VOLTA.
DEH PREGA, O PASSEGGER, CHE DORMA IN PACE,
CHÈ, SE SI DESTA E VIEN RIDISSEPOLTA,
RITORNA FRA I MORTALI UNA MEGERA
E UN MEDICO CONDOTTO VA IN GALERA!”

Ogni riferimento a persone esistenti o a fatti realmente accaduti è puramente casuale. Capito, Emi?

Ci sentiamo la settimana prossima, a Dio piacendo

maestro John Comini

.in foto: don Antonio; mons. Luigi Ferretti; Zanèla; Piero Tedoldi e Paganelli.





Commenti:
ID73930 - 29/10/2017 11:32:45 - (Geppo1950) - un amico

Ciao Johnn guarda che la campanella presso ex monastero di S.Maria è ancora la, manca Suor Francesca che la suona e manca anche suor .Guglielmina che va a rispondere.Grazie per le tue pagine.

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