14 Gennaio 2013, 09.15
Gavardo
Lettere

Nikolajewka 1943-2013

Una vecchia fotografia, il ricordo della tragica epopea degli alpini nella steppa russa.

 

Sono in corso le celebrazione del 70mo anniversario della battaglia di Nikolajewka avvenuta il 26 gennaio 1943. Essa venne combattuta anche dagli alpini dei battaglioni Vestone e Val Chiese fra i quali c’erano molti bresciani e valsabbini. Nikolajewka (oggi il piccolo paese russo non esiste più) fu una delle battaglie decisive che ruppero la sacca dell’esercito sovietico ai reparti tedeschi ed italiani in ritirata dal fronte russo. Anch’io che non sono più giovane ne ho sempre sentito parlare e non avendo alpini in casa non ne ho mai avuta una testimonianza diretta.

Da qualche giorno mio figlio ha fra le mani il libro “Il sergente nella neve” di Mario Rigoni Stern; conosco il testo ma non l’avevo mai letto per intero; ricordo solo qualche brano alla scuola media nelle ore di italiano, sul testo di antologia; l’ho preso e l’ho finito tutto d’un fiato. E’ impossibile non restarne rapiti per la straordinaria realtà di fronte al racconto di chi ha vissuto e sofferto quegli avvenimenti.

Mi sono allora ricordato di ciò che molti anni fa mi raccontò mia madre, l’esperienza di un suo zio, Battista Bignotti di Sopraponte, ritornato dalla Russia a piedi; mi faceva vedere sempre una strana fotografia: un soldato con un cammello in mezzo alla neve. Mi sono sempre domandato cosa ci facesse un cammello nel contingente italiano nella ritirata di Russia. Nell’immaginario collettivo si associa il cammello al deserto (a volte confondendolo col dromedario), invece esso è un animale nativo dell’Asia centrale che può sopportare temperature anche molto rigide; inoltre può restare a lungo senza mangiare, grazie alla riserva di grasso nelle sue gobbe. L’animale era stato abbandonato probabilmente dai reparti russi che utilizzavano la bestia per il trasporto di vettovaglie, di armi e munizioni o per il tiro delle slitte, un po’ come il mulo per i reparti alpini italiani.

Questo cammello fu la salvezza dello zio: l’animale col suo pelo lungo lo riparava dalla tormenta e lo aiutava a procedere anche quando la fatica e la voglia di fermarsi prendevano il sopravvento sulla volontà di arrivare a casa. A differenza di molti altri Battista arrivò sano salvo in Italia ed il cammello venne affidato allo zoo di Milano. Pubblico la foto a ricordo di chi male armato, mal equipaggiato, mal nutrito ha sofferto e combattuto in quegli avvenimenti e per quelli come dice Mario Rigoni Stern che non sono mai tornati “a baita”.

Gabriele Vitali



Commenti:
ID26713 - 14/01/2013 10:32:03 - (sonia.c) - grazie Gabriele!

mio padre ci ha lasciato i piedi.. e ha "soggiornato" in un campo di concentramento..abbiamo una microscopica foto di nostro padre con i muli..devo cercarla..

ID26714 - 14/01/2013 10:32:20 - (Aldo Vaglia) -

Sembra che qualcuno cada dal fico e faccia sempre finta di non capire. La sua bella lettera e' una dimostrazione di come si possa, emotivamente e senza retorica, partecipare alle celebrazioni del 70 anniversario della battaglia di Nikolajewka senza dimenticare che il nostro esercito fu mandato allo sbaraglio "male armato, male equipaggiato, mal nutrito".

ID26715 - 14/01/2013 11:11:44 - (Ilario) - centomila gavette di ghiaccio.

A ricordo di mio zio Satiro Romano della "Tridentina" disperso nella batt. del 27 genn. 1943. La visibilit divenne nulla, come ciechi i marciatori continuarono a camminare affondando fino al ginocchio, piangendo, bestemmiando, con estrema fatica avanzando di trecento metri in mezz'ora. Come ad ogni notte ciascuno credeva di morire di sfinimento sulla neve, qualcuno veramente s'abbatteva e veniva ingoiato dalla mostruosa nemica, ma la colonna prosegu nel nero cuore della notte. (passaggio tratto da Centomila gavette di ghiaccio)

ID26720 - 14/01/2013 13:02:37 - (mauabas) - Una storia da non dimenticare

Concordo con quanto scritto da Vaglia. La storia della cammella Tota e del suo conducente Bignotti l'ho riportata nel libro "Dov'è Nikolajewka?" , Chiara Abastanotti ha disegnato il fumetto, su sceneggiatura di Nicola Patti e John Comini l'ha rappresentata insieme a tante grandi e piccole storie di quella tragica ritirata nello spettacolo omonimo che stiamo portando in giro nei teatri nelle biblioteche e nelle scuole del nostro territorio in queste settimane. Non possiamo dimenticare il sacrificio di quei ragazzi immolati sull'altare dell'idiozia della guerra .

ID26723 - 14/01/2013 13:43:37 - (Giacomino) - L'alpino Bignotti

aveva un amico che con lui ha partecipato a quella grande tragedia, si davano il cambio a condurre la Tota e in un'occasione la dovettero anche difendere con le armi da chi ne voleva fare bistecche. Quell'animale si rivelò provvidenziale, sapeva tirare anche più di una slitta ed era di una docilità totale. L'alpino che ho citato era del mio paese, si chiamava Fusi Pietro, é andato avanti qualche anno fa, mi aveva raccontato che a Vipiteno al momento di staccarsi dalla Tota l'aveva abbracciata come se si fosse trattato di un compagno. Non mancava di definire dei grandi criminali quelli che erano stati la causa di una simile tragedia.

ID26724 - 14/01/2013 13:52:52 - (fp300958) - ricordo e monito ....

Se da un lato commentare eventi bellici relativamente recenti puo' significare parlarne con spirito di parte, anche rievocare fatti di guerra oramai lontani nel tempo può presentare sfaccettature diverse.E' per ricordare il sacrificio di tutti quei giovani che abbiamo costruito i monumenti, erette le croci. Quelle croci che continueremo ad onorare sempre, per ricordare alle genti che con l’odio e le guerre non si risolvono i problemi dei popoli.Perche' la guerra e' sempre una sconfitta..... sia per i vinti che per i vincitori !!

ID26725 - 14/01/2013 13:54:55 - (Leretico) - La verità emerge con difficoltà

Il regime fascista pensò bene di mandare alla morte giovani italiani e valsabbini per i propri progetti di dominio. Impreparati e malvestiti, le loro vite sono state sacrificate in nome della follia. Questa verità è stata così sofferta, è emersa con così grande difficoltà, che negarla è quantomeno da irresponsabili. I regimi che non vogliono critiche, gli uomini soli al comando portano a sofferenze indicibili proprio ai più deboli. Insieme alla battaglia per la vita che si svolse a Nikolajewka dobbiamo ricordare e sperare che il senso critico coltivato con la democrazia possa sempre avere il suo spazio e il suo valore nelle menti e nei cuori delle nostre genti. Per fare in modo che non si debba più morire nei deserti di ghiaccio della steppa russa e che non si debba diventare degli eroi per difendere il bene sacro della vita propria e degli altri.

ID26730 - 14/01/2013 14:53:58 - (GORE60) - mi ricordo anch'io.....

sono la cugina di Gabriele Vitali, e anch'io mi ricordo sempre quella storia che raccontavano sempre le nostre mamme...... e mi ricordo che il cammello appena fu consegnato allo zoo smise di mangiare e si lasciò morire visto che non vedeva più il suo compagno di avventura.........

ID26732 - 14/01/2013 15:30:50 - (genpep) -

"abbiamo bisogno di qualche migliaio di morti da giocare sul tavolo della pace"...

ID26905 - 18/01/2013 20:03:27 - (MIAOBLU) -

SI, ci sono stati molti morti e chissa' quanti senza che nessuno li abbia mai cercati , ma loro hanno combattuto con dignita' e con orgoglio , loro si' che hanno avuto qualcosa in cui credere e di loro non rimane che qualche carta strappata nei cassetti dei nonni insieme a un ricordino, un ex-voto. Io vorrei che questo sacrificio possafare cambiare la vita di molte persone e di far reagire tutti noi, nessuno potra' rendergli giustizia ma loro avranno guadagnato la vetta di Dio e per questo a loro spetta un GRAZIE.

ID27408 - 26/01/2013 14:55:06 - (Giacomino) - Prima che venga tolta la pagina,

voglio scrivere di un mio ricordo in memoria di chi dalla campagna di Russia non é tornato. Quando ragazzino stavo su nel fienile in montagna vedevo passare la nonna della famiglia che abitava in un fienile molto più in alto del nostro, era una persona esile vestita di nero come si usava anticamente, di poche parole, mia mamma diceva che vedeva in quella nonna la madonna dei dolori, quella nonna non aveva più visto tornare dalla Russia i suoi figli alpini Emilio e Andrea. Non smise mai di aspettarli, alla sera non chiudeva mai a chiave la porta di casa nella speranza del loro ritorno. Così fino alla fine dei suoi giorni.

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