Muri in camicia nera
Il maggiore strumento propagandistico del regime fascista fu quello di proporre slogan ad effetto e facilmente memorizzabili.
Non esistendo la televisione, si ricorse alle scritte murarie trasformando i muri delle case di tutta Italia in testimonianze grafiche di esaltazione della retorica fascista.
La ragione della loro ampia diffusione era dovuta anche al contributo in denaro, quantificabile a seconda della grandezza delle lettere ed alla lunghezza della frase, che alcuni Podestà locali concedevano a chi accettava sulla propria casa l’iscrizione di un motto mussoliniano.
Furono il segretario del partito fascista, Achille Starace e l’ideologo del regime Giuseppe Bottai ad ordinare, nei primi anni trenta del novecento di “far indossare anche ai muri la camicia nera”.
L’indottrinamento fascista, i decaloghi categorici, le parole d’ordine raramente hanno trovato riscontro nei fatti.
Sono piuttosto la documentazione di un fallimento e, se da un lato possono essere considerate testimonianze di un passato comunque da giudicare, dall’altro lato fanno parte delle varie declinazioni del registro comico.
Sono poche le scritte che, dopo settanta/ottanta anni sono arrivate fino a noi in stato di buona conservazione.
Diverse le ragioni che hanno fatto sbiadire o scomparire del tutto migliaia di frammenti di storia, tra le quali sono da annoverare la naturale consunzione del tempo, gli effetti devastanti del sole, della pioggia e del gelo, il fatto stesso che i muri della case presentassero spesso un intonaco povero, scrostato e, a volte, fatto da sovrapposti strati di colore, le varie vicissitudini delle facciate degli edifici sottoposti a posizionamento di cavi, tubazioni, stenditoi, cartelli pubblicitari e segnaletici, sovrapposizione di altre scritte pubblicitarie, nuove aperture di finestre o balconate, ritinteggiature, manutenzioni e addirittura demolizioni.
Paradossalmente le massime mussoliniane meglio conservate sono quelle che erano state cancellate con la calce a seguito della “defascistizzazione” all’indomani della caduta del regime del 25 luglio 1943.
La scrostazione dell’intonaco, il fatto di essere riparate da ampie gronde e, non ultima, la volontà di alcune amministrazioni comunali (come nel caso della scritta presente nel Comune di Lavenone) e attualmente della Sovrintendenza per i beni culturali, hanno riportato alla luce queste iscrizioni murali oltre a diverse effigie di Mussolini e di varie simbologie del regime.
Molto interessante a proposito, il lavoro del giornalista e fotografo Ariberto Segàla che ha raccolto in un volume e catalogato diverse scritte e una serie di enormi teste mussoliniane che coprivano intere facciate di case.
A proposito della retorica fascista di cospargere i muri di case di campagna di scritte mussoliniane, un giornalista francese (lo racconta Giovanni Bottai nel suo “Diario 1935-1944”) scrisse: “Un enfant qui lit ça, va contre le mur, fait pipi, et après il dit qu’il a fait le déluge”.
Ritorniamo alla scritta riaffiorata sulla Chiesa di San Rocco a Crone di Idro, vicino alla sede della interessantissima mostra sulla Grande Guerra allestita dal Gruppo Sentieri Attrezzati di Idro: “L’Italia avrà il suo grande posto nel mondo”.
Si tratta del motto mussoliniano più antico tratto dal discorso pronunciato dal duce il 23 marzo 1919 a Milano per la fondazione dei fasci di combattimento e ribadito in diverse altre occasioni, l’ultima delle quali il 17 settembre 1943 da Radio Monaco nel suo primo discorso agli italiani dopo la sua liberazione dal Gran Sasso.
In valle, esattamente a Ponte Caffaro è ancora visibile la scritta “Fascio di combattimento di Ponte Caffaro” presso la vecchia sede dei Fasci di combattimento.
A Lavenone, invero, è ben visibile la scritta “Disciplina, concordia e lavoro per la ricostruzione della patria” su un lato dell’edificio della Scuola Primaria intitolata ai Caduti per la patria, pulita dopo la ritinteggiatura delle facciate avvenuta negli anni novanta del secolo scorso.
Sempre a Lavenone, un discorso particolare merita la trasformazione dello slogan “Noi sognamo l’Italia romana” in un monito rivolto alle generazione future.
Questo grazie alla lungimiranza del Prof. Gian Fausto Salvadori, allora Sindaco del paese.
Infatti nella ricorrenza del 25 aprile del 1982 venne inaugurato un affresco in puro stile futurista per rappresentare, accanto alla scritta, la realtà del regime fascista, in contrapposizione al sogno che, immancabilmente, svanisce al risveglio, con la luce del sole.
Ad onor del vero la massima mussoliniana, peraltro ancora visibile nel Comune di Levone (To), era “Noi vogliamo l’Italia Romana” tratta da un articolo apparso su “Il popolo d’Italia” il 21/04/1922.
Nella variante, peraltro, non di poco conto in quanto contrappone la categoricità del “volere è potere” alla irrealtà del sogno che è mera illusione, si potrebbe ravvisare, se fossimo tutti superstiziosi, un segno premonitore del destino.
Infine una mera curiosità riguarda l’errore del verbo “sognamo”
Nella I coniugazione, le desinenze regolari sono –iamo per la 1a persona plurale dell’indicativo e congiuntivo presente, -iate per la 2a persona plurale del congiuntivo presente e, pertanto, la frase corretta sarebbe dovuta essere: “Noi sogniamo l’Italia romana”.
Ma consoliamoci, non è l’unica eccezione, infatti anche a Torino in via G. Medici viene perpetuato l’errore su analoga scritta.
Guido Assoni