06 Ottobre 2009, 11.59
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Banche&Lavoro

Dai prefetti nulla

La scorsa settimana è emerso l’attrito tra il Ministro dell’Economia e alcune banche, quali Intesa SanPaolo e Unicredit, relativamente ai Tremonti Bonds. Cosa ne dicono i prefetti?

 
I T-bonds sono strumenti finanziari predisposti nei giorni più caldi della crisi finanziaria dal Ministero dell’Economia per far fronte alla mancanza di adeguata capitalizzazione delle banche italiane.
Avere banche con una solida capitalizzazione è importante non solo per la stabilità del sistema bancario stesso, ma anche perché dal livello di capitalizzazione dipende la capacità delle banche di fornire credito a imprese e famiglie.
È per tale ragione che anche in altri Paesi si sono predisposti strumenti finanziari simili ai T-bonds.
 
Il costo di sottoscrizione dei T-bonds è dell’8.5%, con maggiorazioni in caso di rimborso ritardato.
La gestazione dei T-bonds è stata piuttosto lunga e oggi, passata l’emergenza le banche italiane hanno scoperto che è possibile, data la nuova situazione di mercato, ricapitalizzarsi con altri strumenti meno onerosi dei T-bonds. Per tale ragione molte banche, incluse le due principali, Unicredit e Intesa, hanno deciso di non sottoscrivere i Tremonti bonds.
 
Il Ministro si è molto risentito, ribattendo che tali strumenti non erano stati pensati per le banche, ma per le imprese, affinché esse non si trovassero nell’impossibilità di ottenere finanziamenti dal sistema bancario.
Le banche hanno replicato che già adesso non vi è alcuna restrizione al credito per le imprese sane.
Viene da domandarsi se sia compito del Ministro dell’Economia dire quale sia il livello ottimale di credito nell’economia italiana, ma lasciamo da parte questa questione per il momento.
 
Ha ragione il Ministro o hanno ragione le banche? C’è o non c’è un significativo razionamento del credito a famiglie e imprese?
Nel decreto che istituiva i Tremonti bonds, il Ministro affidava ai prefetti il monitoraggio delle condizioni del credito verso famiglie e imprese.
I prefetti dovevano essere delle cassette postali nelle quali imprenditori e cittadini potevano riversare le loro lamentele in caso di comportamenti “opportunistici†delle banche.
Chi meglio di loro può allora dirimere oggi la controversia tra banche e Ministro?
 
Le cassette postali dei prefetti sono piene, quasi piene o desolatamente vuote? Oggi che le loro parole potrebbero portare chiarezza, dei prefetti (e dai prefetti) non si sa niente.
Non pretendiamo “la parola che squadri da ogni latoâ€.
Ci basterebbe solo qualche storta sillaba.
Almeno per dissipare il dubbio che l’operazione prefetti fosse in realtà solo un dispetto verso la Banca d’Italia.
 
Fausto Panunzi da lavoce.info


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