29 Gennaio 2009, 00.00
Pertica Bassa
Ricordi di Russia e altre storie

Primo Zambelli: da Levrange a Nikolajewka

di Giancarlo Marchesi

C’era anche Primo Zambelli, classe 1922, da Levrange (Pertica Bassa), quel 26 gennaio del 1943 a Nikolajewka con il battaglione Vestone. Di quel giorno, il più lungo della ritirata del Corpo d’armata alpino, ha un ricordo indelebile.

C’era anche Primo Zambelli, classe 1922, da Levrange (Pertica Bassa), quel 26 gennaio del 1943 a Nikolajewka con il battaglione Vestone. Di quel giorno, il più lungo della ritirata del Corpo d’armata alpino, ha un ricordo indelebile tanto nello spirito quanto nel corpo: nello spiro, perché ogni episodio si è fissato nella sua memoria, e a distanza di sessantasei anni è in grado di rievocare con nitida precisione anche il minimo dettaglio di quella battaglia; nel corpo, perché da allora una scheggia di mortaio gli è rimasta conficcata sotto l’orecchio.

Prima di vestire la divisa degli alpini, Zambelli era vissuto sempre sui monti delle Pertiche e il treno, come tanti altri suoi coetanei, l’aveva visto per la prima volta quando l’avevano chiamato a fare il soldato al distretto di Treviglio, appena scoppiata la guerra. Gettato, come migliaia di altri giovani della nostra provincia, allo sbaraglio sul fronte russo ha combattuto in prima linea, ha sentito la paura e vissuto amare esperienze che lo hanno costretto ad andare al saccheggio per sopravvivere.

A Nikolajewka era arrivato fino alle prime isbe del villaggio poi aveva dovuto ritirarsi con uno sparuto gruppo di alpini del suo “Vestone” e tornando indietro venne ferito. Un compagno gli prestò le prime cure fasciandolo con il pacchetto di medicazione che Zambelli teneva sempre nella tasca della sua divisa. Fortunatamente la ferita non gli impedì di proseguire il cammino verso la libertà. Il 2 febbraio venne caricato su una camionetta e portato all’ospedale di Karkov dove fu assistito e poi condotto a Brest, in attesa del treno che lo avrebbe portato in Italia, a baita.

Scampato all’odissea russa che aveva profondamente segnato la sua forte tempra di montanaro, Zambelli era tornato a Levrange per lavorare la campagna e accudire il bestiame, come per secoli avevano fatto i suoi avi. Ma per il nostro alpino in congedo il destino aveva in serbo un’altra tragica e dolorosa esperienza: sul finire del 1959 il suo paese fu interessato da un ampio smottamento che costrinse l’intera popolazione della frazione ad abbandonare le case crollate o gravemente lesionate e trovare rifugio presso l’ex caserma Chiassi di Vestone. Anche in questa occasione Zambelli fu in prima linea: grazie al suo spirito, mise a servizio tutta la sua esperienza. A distanza di qualche anno il nuovo borgo di Levrange venne ricostruito non molto lontano dalle dimore antiche, il un luogo sicuro.

Da circa un anno Primo Zambelli è ospite della Casa di riposo di Nozza dove ha trovato nuovi amici e trascorre le sue giornate realizzando piccoli oggetti in legno. Salutandoci, al termine del nostro incontro ci ha detto: «le ho passate tutte al modo, ma sono stato fortunato e sono ancora vivo».


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