29 Novembre 2015, 09.37
Scenari

La guerra dell'oro blu

di EnneEmme

Nel pieno svolgimento di quella che Papa Francesco chiama la “terza guerra mondiale a pezzi”, non ci rendiamo conto che si sta svolgendo un’altra guerra meno percettibile e più importante: quella dell’oro blu.


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E proprio intrecciando questa guerra con quella che sta andando in scena riguardante il terrorismo di matrice islamica, non è un caso se la prima conquista messa a segno dall’Isis è stata la diga di Haditha in Iraq. L’occupazione è durata pochi giorni, stroncata dall’esercito iracheno aiutato dai raid aerei statunitensi, ma se l’attacco non fosse andato a segno, i jihadisti avrebbero avuto fra le mani una potentissima arma: l’acqua. Significa decidere le sorti di migliaia di vite aumentando le proprie potenzialità di ricatto e intimidazione, senza contare che un eventuale cedimento dovuto a una mancata manutenzione della diga avrebbe potuto causare inondazioni devastanti in città importanti quali Ramadi, Falluja e Baghdad.

La storia insegna che l’acqua è un potentissimo mezzo nelle mani di chi la controlla e che ovunque ci siano fiumi condivisi nascono focolai di tensione.

Risale tutto al 2500 a.C. quando Eannatum, re delle città stato di Lagash, in Mesopotamia, costruì una serie di canali che deviarono l’acqua del fiume e privarono delle risorse idriche la città stato di Umma. Seguirono feroci combattimenti terminati con la vittoria di Lagash, celebrata nella stele degli avvoltoi tuttora conservata al Louvre di Parigi.

Tornando ai giorni nostri i focolai sono ancora vivi: Argentina e Uruguay hanno portato alla Corte Internazionale di giustizia la loro disputa sul Rio de la Plata, così come Messico e Usa che litigano per il Rio Grande. Anche Siria e Iraq bisticciano per le acque del Tigri, mente la “guerra delle dighe” del fiume Mekong vede ai ferri corti sei stati: Cina, Laos, Thailandia, Cambogia, Myanmar e Vietnam.

I successi tuttavia non mancano come l’accordo fra Israele e Giordania del 1994 o il trattato sull’Indo firmato nel 1960 tra India e Pakistan.

Le prossime dispute saranno incentrate sul fiume Giallo e quello Azzurro, il Gange e l’Indo, l’Eufrate e il Nilo, che nei prossimi anni soffriranno per una contrazione di portata del 25% a causa dei cambiamenti climatici. Le future tensioni riguarderanno soprattutto le risorse idriche del sottosuolo, nascoste per lo più sotto il deserto del Nordafrica. Il diritto internazionale prevede due strumenti per garantire la “pace delle acque dolci”: la Convenzione sugli usi non navigabili dei fiumi e la Convenzione sulle acque transfrontaliere. Tuttavia se non si creeranno modelli di gestione condivisi e svilupperanno nuove tecnologie all’avanguardia, aumenteranno esponenzialmente i rischi di scontro intorno a falde, fiumi e laghi in comune.



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