10 Marzo 2014, 09.00
Provaglio VS
Partigiani 1

«Poèr Pötèi i gaia fat negòt dè mal»

di Redazione

La giornata di sole ha favorito numerose le presenze domenica mattina, a Cesane di Provaglio Valsabbia, in occasione del 69° anniversario dell'eccidio fascista

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Gonfaloni, gagliardetti e labari, numerosi gli amministratori, ma anche la gente comune e i giovani, domenica a Cesane di Provaglio.
Hanno portato i loro saluti il sindaco Marco Venturini, il presidente della Comunità montana Gianmaria Flocchini.
E' stato ricordato Lino Pedroni, scomparso alla vigilia di Natale dello scorso anno e in suo onore il Gruppo Monte Besume ha deposto dei fiori alla lapide.

Il discorso ufficiale è stato affidato al sindaco di Barghe Gianbattista Guerra.
Eccolo:

Autorità civili, militari e religiose,
Rappresentanti delle Associazioni Partigiane,
Rappresentanti delle Associazioni Combattentistiche e d’Arma,
Famigliari delle vittime e dei superstiti,
Care Partigiane e cari Partigiani,

Il 5 Marzo del 1945 la ragione si eclissò nel luogo in cui attualmente ci troviamo, consentendo per l' ennesima volta all' uomo di tramutarsi  in mostro.
Coloro che detenevano il potere e la forza non esitarono ad usarli contro chi, in quel momento era inerme e succube nelle loro mani.
Raffiche di mitra e colpi di pistola infransero il silenzio notturno uccidendo giovani   uomini  che  versarono  il loro sangue sul terreno gelato di Provaglio Val Sabbia.

Oggi, a sessantanove anni di distanza da quel terribile evento, siamo qui a ricordare ed omaggiare quei giovani, a riflettere sulla loro morte ma soprattutto sulla loro vita, e lo facciamo con piena coscienza che  ricordando i caduti nel luogo del loro martirio, significa far rivivere i valori in cui essi hanno creduto e nei quali ci riconosciamo.
Dal punto in cui ci troviamo possiamo vedere gran parte dei luoghi simbolo in cui si svolse la tragica vicenda:  a partire dal Monte Besume dove tutto ebbe inizio. 

Sulle pendici di quel monte, inconfondibile nella sua particolare forma, i giovani martiri che oggi ricordiamo, avevano posto la loro base provvisoria, ultima di una lunga serie di rifugi che in quel tragico periodo li aveva ospitati: stanchi, affamati, talvolta impauriti, ma sempre più determinati e consapevoli della scelta intrapresa.

Una scelta dovuta a motivi diversi e personali, ma figlia di un unico specifico evento, legato ad una data, della quale si parla poco e, per quanto possa sembrare incredibile  ancora sconosciuta a parte degli italiani; una data che da questo stesso palco è stata più volte citata da uomini quali Ermes Gatti e Lino Pedroni, che identificarono l'Otto Settembre 1943 come uno dei momenti più tragici della storia nazionale.

Da quel giorno tutto cambiò, ma non in meglio per la maggior parte degli italiani. I potenti, coloro che avevano governato o regnato sulla nazione portandola dalla dittatura alla guerra e alla disfatta,  in modi diversi si defilarono.
A seguito dell' annuncio dell' armistizio i nostri soldati rimasero soli, senza ordini, senza riferimenti, privi di un credo per cui battersi, in balia degli ex alleati tedeschi che li disarmarono, umiliarono, deportarono ed in alcuni casi massacrarono.

Verrebbe da dire che L' Italia da quel momento avrebbe potuto non esistere più
, ma gli italiani di allora non furono d'accordo, volevano ancora la loro nazione, aspiravano al riscatto, alla dignità e soprattutto i giovani come: Amilcare Baronchelli, Arnoldo Bellini, Angelo Bruno Cocca, Luigi Cocca, Teodoro Copponi, Alfredo Poli, Pierre Lanoy, Gaetano Resa, Ferruccio Vignoli, Domenico Signori, volevano la libertà.

Libertà non identificata come un qualcosa di astratto, bensì come la possibilità di contare nella decisione del loro futuro e di quello dei loro figli, e per questo, rifiutando altre prospettive offerte dal regime della RSI, si diedero alla clandestinità ed alla montagna: divenendo Partigiani.

Uomini di parte quindi, organizzati in bande armate (spesso male), con una logistica ed un vettovagliamento precari, contrapposti ad un esercito tedesco organizzato, efficiente ed esperto, che per meglio conseguire i suoi obbiettivi si serviva di una milizia fascista spietata, capace di ogni efferatezza, in grado di pagare delatori e infiltrati, ed i cui componenti erano italiani arruolati nelle fila della RSI, gli stessi autori della strage che stiamo commemorando.

C’è però un fattore capace di compensare l'inferiorità militare e logistica, in ogni tempo e luogo favorevole al partigiano, che gli consente di sopportare disagi e privazioni.
Il partigiano lotta per la sua terra sulla sua terra, si batte per la sua gente tra la sua gente; non è invasore, ma invaso, attacca con la rabbia e la determinazione di chi si difende, è credibile e comprensibile nella sua azione e perciò sostenuto nella lotta. Una lotta che seppur con grandi tribolazioni  alla fine ha portato alla vittoria ed alla liberazione.

I martiri di Provaglio non hanno visto l'alba della liberazione, prima vi dicevo del monte Besume dove tutto iniziò, non li accompagnerò con la memoria nel viaggio che li portò dapprima a Barghe quindi a Casto e poi al comando di Idro, non indugerò sulle sevizie che hanno subito di cui gli autori renderanno conto a Dio.

Voglio accompagnarli nel tracciato che da Barghe hanno percorso salendo verso questo luogo, che non è lo stesso compiuto da noi per portarci quassù.
Loro sono saliti per la via vecchia, più ripida rispetto all'attuale, che in alcuni tratti passa vicino a dei fienili. A quel punto i Partigiani della Settima Brigata Matteotti e della Perlasca, non avevano più speranze, forse si auguravano che tutto finisse in fretta, si sentivano soli, ma, anche se materialmente non è servito a nulla, non lo erano.

Gli abitanti dei fienili li hanno sentiti, hanno udito lamenti ed ingiurie; impotenti ed impauriti hanno pianto e pregato per quei giovani destinati a rimanere tali per sempre:
“Poèr Pötèi i gaia fat negòt dè mal”.
Con questa frase dialettale; la pietà popolare, la più sincera e disinteressata, identificò i giovani martiri di Provaglio val Sabbia che si avvicinavano alla fine del loro calvario; esattamente in questo prato.

Anche qui, dopo che tutto fu compiuto, la gente del luogo li ricompose e pianse per essi, le madri figurarono in loro i propri figli, dispersi o sbandati in altre zone e, magari solo per un attimo, li sentirono come tali.
L'ultimo luogo simbolo dell'eccidio visibile da questo punto è la bella Parrocchiale di Provaglio Val Sabbia, laddove i corpi furono portati, e le donne della resistenza (alle quali non saremo mai abbastanza grati) detersero i loro volti macchiati di giovane sangue.

Molti sono i punti di questa strage che gridano vendetta, molti i dubbi sull'operato di uomini, quale sia il ruolo da essi ricoperto, che a fine guerra avrebbero potuto avere  gravi ripercussioni  con rese dei conti personali e sommarie.
Ma poco avvenne al di là della legge; a valutare e giudicare quanto accaduto furono i giudici togati. La militanza nella resistenza aveva forgiato gli uomini, focalizzando il loro obbiettivo nel superamento delle divisioni e nella prospettiva di una vita libera e migliore  PER TUTTI!!!!

Questo senza dimenticare nulla di quanto avvenuto, senza confondere i ruoli avuti, senza sconti per gli abusi commessi, ma nella legalità e per un futuro veramente migliore.
Basandosi su questi fondamentali, consacrati dal sangue dei martiri, gli uomini della resistenza fornirono un decisivo apporto nel rifondare e dar credito ad una nazione ridotta a brandelli. Contribuirono alla stesura della carta costituzionale che ha consentito alle generazioni successive alla loro di vivere e prosperare in uno stato libero e di questo dobbiamo essere consapevoli e grati.

Hanno quindi raggiunto buona parte degli obbiettivi che si erano posti e molti di loro lasciandoci, lo hanno fatto serenamente, con la convinzione che le cose sarebbero sempre migliorate ed i tempi negativi da loro vissuti non sarebbero più tornati.

Purtroppo così non è, la crisi economica che ormai da anni stiamo vivendo, ne ha evidenziata un'altra se possibile ancora più grave, una crisi morale che ha coinvolto l'intero paese gettando ombre e sfiducia sulle istituzioni, togliendo (spesso purtroppo a ragione) credibilità alla politica e favorendo l'avvento di capi popolo fautori di magiche soluzioni.

Non esistono magiche soluzioni, non le hanno avute i nostri caduti e non le avremo nemmeno noi;  solo una seria e responsabile opera da parte di una classe dirigente onesta e capace può riportarci in tempi di difficile previsione sul giusto binario.
Questa classe dirigente, che come primo compito deve ridare con l'esempio una rinnovata credibilità alle istituzioni che rappresenta, va supportata, spronata e controllata da una base, consapevole di poter vantare diritti e contemporaneamente di avere dei doveri.

Così onoreremo veramente i nostri martiri dando autentico significato alla nostra presenza nei teatri delle stragi riportando veramente in cuore uomini come: Amilcare, Arnoldo,  Angelo, Luigi, Teodoro, Alfredo, Pierre, Gaetano, Ferruccio, Domenico: uomini  che non moriranno mai.

Consentitemi di concludere ricordando una persona: minuta, con  il cappello Alpino, che, mani dietro la schiena, guarda verso il monte Besume. Quell' uomo è Santo Persavalli che silenzioso ed assorto ci sta ascoltando.

Onore ai martiri di Provaglio Val Sabbia
Viva la Resistenza
Viva la Repubblica Italiana

Gianbattista Guerra



Commenti:
ID42731 - 13/03/2014 16:56:20 - (bernardofreddi) -

Se non altro, il dramma della Crimea ci ha permesso di risentire finalmente l'appellativo "fascista" usato come insulto.

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