25 Dicembre 2010, 07.32
Provincia
Scuola

La riforma dell'Università

La riforma dell’Universit era indispensabile e urgente. Grazie, grazie On. Ministro Mariastella Gelmini ci scrive da Brescia Celso Vassalini.

 
Caro direttore,
 
la crisi dei sistemi firmativi-scolastici ed educativi occidentali non è un fatto nuovo; in quasi mezzo secolo, a partire dalla stagione del '68, nessun tentativo di riforma ha tuttavia portato a risultati apprezzabili in nessuno dei paesi dell'Occidente.
Oggi, dati alla mano, sappiamo che, nonostante questo modello domini a livello mondiale, le nostre università sono sempre più inadeguate a preparare gli studenti; Il mondo della ricerca, che al sistema dell'istruzione è fortemente connesso, lamenta una progressiva riduzione delle risorse, mentre da fuori gli si rimprovera una crescente incapacità di produrre innovazione di valore strategico, rispetto ai fondi allocati.
 
Per non restare chiusi nelle polemiche di questi giorni, confinate dentro implicazioni partitiche, è forse utile rammentare per prima cosa che i nostri sistemi educativi sono stati elaborati dall'Occidente europeo in una fase ben precisa della storia degli Stati nazionali moderni, allorché l'istruzione pubblica era in primo luogo destinata a fornire un contributo determinante a quella "nazionalizzazione delle masse" senza la quale la stessa storia delle democrazie occidentali per come la conosciamo non sarebbe mai stata possibile.
Mentre l'Insegnante, così come l'Imprenditore, ha prima di tutto una missione sociale con la quale dovrebbe misurarsi quotidianamente, oppure cambiare mestiere.
 
Una cultura effettivamente liberata, non potrebbe certo avere paura di confrontarsi con impostazioni diverse e diverse visioni dell'uomo, della storia, della vita, qualora si sentisse realmente portatrice di nuove energie intellettuali e creative, in una parola umanamente spirituali: la sfida è per questa ragione veramente di quelle epocali, e meraviglia che nel rinnovarsi di marce, striscioni e tensioni, manchi il coraggio, quello davvero rivoluzionario, di rimboccarsi le maniche e di cominciare a organizzare dall'esistente scuole realmente indipendenti da qualsiasi influenza esterna e allo stesso tempo aperte alla considerazione di tutto quello che vive nelle nostre società, per portarvi lo stimolo di idee impulsi intuizioni.
 
A questo modo, la formazione-scuola, anzi le diverse formazioni -  scuole, tornerebbero alla loro natura vera, che non è quella di produrre certificati e diplomi (esamifici), ma di stimolare il lavoro interiore dell'uomo, l'espressione delle sue capacità, lo sviluppo della sua coscienza e, da qui, il potenziamento della sua capacità di lavorare nella società, anche per gli altri.
È all'interno di questa impostazione che si collocano entrambe i modelli di successo del sistema: quello elitario anglo-sassone, che affida alle grande istruzioni private, strettamente collegate alle grandi fortune private, alla ricchezza, il livello più elevato dell'educazione, indispensabile ad assicurare omogeneità e continuità all'edificazione di classi dirigenti di livello "imperiale"; quello francese, per il quale invece l'istruzione pubblica, oltreché simbolo di eguale possibilità di accesso al sapere del citoyen come premessa delle rivoluzionarie "carriere aperte al talento", è strettamente legata alle esigenze di potenziamento della grande macchina dello Stato centralizzato.
 
Quando si parla di istruzione nel nostro tipo di modello politico, dunque, non si deve quindi dimenticare che, pubblica o privata che sia, l'istruzione è comunque strettamente integrata alle esigenze politiche dello Stato-nazione, di cui rappresenta uno dei più importanti strumenti di integrazione e di controllo sociale.
Una scuola che nutre la libertà interiore dell'uomo e che in essa trova le proprie energie, potrebbe cooperare a quel punto, sulla base di parità funzionale, con uno Stato che garantisca e tuteli l'uguaglianza dei diritti e dei doveri di tutti.
 
Detto questo, ed era mio dovere dirlo, il mio pensiero corre a chi volle, e fortissimamente volle, l’Università a Brescia; in primis Bruno Boni, Sindaco per sempre,  sostenitore di antica data dell’E.U.L.O, embrione universitario degli anni sessanta e settanta, sviluppatosi lentamente fino a realizzare il Suo grande sogno.
Subito dopo viene  la squadra, divisa politicamente ma compattata da una  brescianità collaborante, composta da Gianni Savoldi, Cesare Trebeschi e Pietro Padula; una squadra che ha sempre giocato per far decollare la nostra città staccandola dalla forzata dipendenza del triangolo Milano-Pavia-Padova.
 
A questi Uomini che tanto si adoperarono va aggiunta, e lo dico con convinzione, la figura del Rettore Prof. Augusto Preti.
La  sua carismatica personalità di Docente e di  Amministratore all’interno della quale un “naturale pragmatismo” coopta  spontaneamente  una capacità progettuale di alto livello culturale, è stata motore trainante  del fenomeno universitario bresciano che, in campo nazionale, viene valutato su livelli di eccellenza sia sul piano scientifico che su quello della organizzazione generale e della edilizia universitaria.
 
Detto questo mi accomiato con un caro saluto a tutto il Consiglio di Amministrazione uscente.
E’ stata una bella esperienza e, scegliendone la fine del mio mandato in Consiglio di Amministrazione e, porto all’incasso una parentesi utile ed irripetibile.
Auguri Sig. Rettore Prof. Sergio Pecorelli, per il difficile cammino che il Ministro con la sua coraggiosa riforma e per il passaggio di testimone di una eredità di brescianità del fare.
 
Celso Vassalini ex Consigliere di Amministrazione Università degli Studi di Brescia.
 


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