01 Dicembre 2016, 06.36
Roè Volciano
Lettere

Non siamo membri di alcuna «accozzaglia»

di Michele Ferrari e Alberto Garzoni

 Caro direttore, il 16 novembre scorso il sig. Luca Facciano è intervenuto nel dibattito pubblico della Valle per spiegare le ragioni del suo sostegno al Sì al referendum costituzionale...


Prendendo spunto da quella lettera, ci piacerebbe aderire all’invito a un dibattito costruttivo ed esporre alcune considerazioni che ci sembrano rilevanti.
Esse consentiranno di rispondere in parte anche a quanto osservato dai sigg. Garzetti e Vassalini in un'altra lettera a sostegno del Sì.

- Il sig. Facciano scrive che «si è tentato di promuovere per anni» questa riforma per «permettere al nostro paese di fare un passo in avanti».
Nonostante i tentativi non riusciti dei decenni passati, dal 2000 a oggi parlamenti con maggioranze di vario colore hanno approvato e sottoposto al giudizio popolare  ben tre riforme costituzionali, compresa quella attuale (con la media di una proposta di riforma ogni cinque anni e mezzo).
Ciò significa che, in anni recenti, l’attenzione rivolta alla modifica della Costituzione non è stata affatto infruttuosa.
La sola tra queste proposte ad essere respinta (quella del 2006) lo è stata per volontà del popolo.

- È curioso che la lunga attesa per le riforme, su cui la maggioranza del Pd ora batte con insistenza, non sia stata considerata determinante quando, nel 2006, i partiti del centro-sinistra (poi confluiti nel Pd) si sono opposti a una riforma costituzionale in senso federalista, agitando la bandiera della difesa della Costituzione.
Ciò non significa che quella proposta fosse condivisibile, anzi; piuttosto, ci chiediamo perché i tentativi di riforma siano «un’occasione di progresso imperdibile» solo quando corrispondono alla volontà politica della propria parte.

Sarebbe bene precisare cosa si intende quando si assicura che il Paese farà «un passo avanti».
L’approvazione del progetto di riforma non garantisce automaticamente effetti positivi su materie che una legge costituzionale non tratta e non può trattare.
In effetti, la retorica di alcuni autorevoli membri del Pd, secondo cui una vittoria del Sì consentirebbe grossi cambiamenti nei campi dell’economia, della sanità, della politica estera e della pubblica amministrazione, sembra simile a quella (altrettanto discutibile) di chi, al contrario, crede che il successo del Sì favorirebbe la diffusione della ideologia gender.
Inoltre, chi nel Pd sostiene la bontà di questa riforma e anche di altri interventi considerati innovatori, come il Jobs Act o la Buona Scuola, dovrebbe decidere una buona volta se quella costituzionale è la madre di tutte le riforme, utile a «far ripartire l’Italia dallo stato stagnante in cui si trova da tempo», o se lo sforzo riformatore, che si riteneva già avviato prima, è effettivamente praticabile anche senza questa riforma costituzionale.

A questo proposito: negli scorsi giorni, la Corte costituzionale ha bocciato una parte consistente della riforma Madia sulla pubblica amministrazione.
Di lì a poco, Renzi ha dichiarato che la bocciatura della riforma sarebbe la prova evidente che l'Italia è paralizzata dalla burocrazia, e che la riforma costituzionale risolverà simili problemi.
Innanzitutto, è a dir poco vergognoso che il Primo Ministro, cioè il massimo detentore del potere esecutivo, si permetta di considerare un intralcio burocratico il più alto organo giudiziario dello Stato: questo la dice lunga sul rispetto che Renzi ha per l'indipendenza della Magistratura e per l'equilibrio tra i poteri.
Inoltre, se il nostro Presidente del Consiglio e chi, in giro per l'Italia, va ripetendo le sue opinioni avessero l'onestà intellettuale di guardare nel merito, si accorgerebbero che, in sostanza, la riforma Madia è stata bocciata perché proponeva una gestione dell'apparato statale troppo centralizzata e a sfavore delle autonomie regionali. Questo problema si presenta identico anche all'interno della riforma costituzionale, come risulta da un'attenta osservazione del suo testo.
 
Perciò, cogliendo questo spunto, proviamo a osservare nel merito alcuni aspetti del testo della riforma costituzionale...
 
È vero che i Principi fondamentali della Costituzione non vengono alterati dalla riforma, mentre non è vero che resta inalterata la Parte prima, che è distinta dalla sezione sui Principi fondamentali: in effetti, viene modificata parte dell’articolo 48.

Come è facile immaginare, la modifica dell’ordinamento dello Stato produce inevitabilmente un cambiamento nella prassi politica del Paese.
Cambiare la prassi politica del Paese, però, significa modificare anche il modo di recepire e attuare concretamente proprio i Principi fondamentali della Costituzione. Siamo sicuri, quindi, che la Carta costituzionale rimarrà davvero «autentica e intatta» nei principi fondamentali e nei valori di fondo?

«Il potenziamento degli istituti di democrazia diretta» appare piuttosto fiacco.
La modifica dell'articolo 70 introduce un nuovo strumento per l’espressione della volontà popolare, il referendum propositivo. Tuttavia: «le sue modalità di attuazione verranno disposte» in un futuro indeterminato «con legge approvata da entrambe le camere»; si complicano le modalità di proposta e approvazione del già esistente referendum abrogativo (art. 75), dato che alla procedura normale (che prevede 500mila richiedenti e il quorum della metà di tutti gli aventi diritto al voto) se ne affianca una “speciale” (almeno 800mila richiedenti e quorum della metà di chi ha votato alle ultime elezioni); le leggi di iniziativa popolare (art. 71) dovranno essere proposte da almeno 150mila elettori invece che 50mila.
Dunque, è evidente che il «potenziamento» a cui si faceva riferimento consiste piuttosto in una complicazione, e che per i cittadini sarà più difficile, per ovvie ragioni numeriche, esercitare la loro partecipazione alla funzione legislativa. In una parola, la loro sovranità. Peraltro, non si capisce come ciò favorisca l’efficacia e l’estensione del processo democratico. 

Non è chiaro come da un'eventuale vittoria del Sì ci si possa aspettare con sicurezza una «maggiore stabilità di governo»: infatti, la legge elettorale per la Camera con cui la riforma costituzionale andrebbe combinata (il cosiddetto Italicum) è stata rimessa in discussione proprio dal Pd, che l’aveva promossa e approvata e che di recente si è impegnato a rivederla, senza specificare né quando né come. [cfr. Documento della commissione sulla legge elettorale istituita dalla Direzione nazionale del PD del 5 novembre 2016]

Riguardo al «risparmio dei costi della politica», davvero la sua portata sembra ridotta: secondo previsioni governative, infatti, esso resterebbe nell’ordine di qualche decina di milioni di euro.
Insomma, uno sforzo legislativo di tre anni e una riforma di così grande impatto sul funzionamento dello Stato consentirebbero un risparmio ben poco significativo, se si pensa all’impegno profuso per realizzarlo.

Il sig. Facciano sostiene che questa riforma contribuirà alla «semplificazione del processo legislativo» e «burocratico»; anche i sigg. Garzetti e Vassalini fanno riferimento alla «limitazione dei decreti legge» e a «doppi passaggi tra Camera e Senato che di fatto logorano la democrazia invece che garantirla».
Tentiamo di rispondere con ordine.

Purtroppo, questa riforma, essendo costituzionale, si occupa solo di tematiche istituzionali; quindi, non porterà alcun prevedibile effetto diretto sulla burocrazia dello Stato (intesa in senso ampio), per la quale necessiteremmo di una riforma specifica.
Per quanto riguarda il processo legislativo, esso non verrà affatto semplificato, ma complicato.
Con il bicameralismo perfetto, c'era parità assoluta di funzioni e poteri tra le Camere: di qualunque tipo fosse la legge in discussione, esse agivano in maniera assolutamente speculare l'una all'altra (anche se questo non comportava che i loro regolamenti interni fossero identici).

Il disegno di riforma, invece, prevede di superare questo modello, introducendo una nuova classificazione delle tipologie di legge, in base ai diversi modi in cui il Senato contribuirà alla funzione legislativa.
In effetti, per alcune materie si mantiene un impianto paritario, per altre è prevista la preminenza della Camera e una funzione di revisione e controllo per il Senato, mentre per una parte consistente delle leggi non è chiaro in che modo gli equilibri tra le due camere si delineeranno di volta in volta (v. art. 70). Ciò è dovuto al fatto che la preminenza della Camera dei deputati non è affermata in maniera univoca (artt. 70-73) e che la difficile interpretazione della procedura per approvare alcune delle nuove tipologie di legge sarà chiarita  solo in futuro dalla prassi parlamentare e dalla giurisprudenza (v. Rossi 2016, pagg. 83-86, 105-107, 141-144).

Oltre alla sostanziale impossibilità di interpretare in modo indiscutibile diversi passi di questa parte della riforma, il nuovo dettato costituzionale prevede come sola soluzione alle «eventuali questioni» dubbie «di competenza» l'accordo tra i Presidenti delle Camere «secondo le norme dei rispettivi Regolamenti» (art.70, comma 6).
Tuttavia, i Presidenti saranno eletti da una maggioranza parlamentare, che, almeno nel caso della Camera dei deputati, sarà presumibilmente la stessa che voterà la fiducia al Governo.
In questo è implicito che i casi incerti saranno plasmati in modo pressoché esclusivo (anche se indiretto) dalla volontà politica della maggioranza che sostiene il Governo, in modo potenzialmente arbitrario (in quanto non regolato da una norma positiva) e a scapito dell'equilibrio tra poteri.
Il Governo, infatti, a cui compete solo il potere esecutivo, avrebbe modo di coordinare senza contrappesi l'esercizio del potere legislativo, che – nelle democrazie parlamentari sane - spetta alle Camere (v. il testo degli artt. 70-71 precedenti alla riforma).

Per quanto riguarda la presunta limitazione dell'uso dei decreti legge, osserviamo che: la riforma si limita a trasporre in forma costituzionale una Legge ordinaria vigente da quasi trent'anni (L. 400/1988); l'utilizzo dei decreti legge, in ogni caso, viene esteso alla disciplina dell'organizzazione del procedimento elettorale e dello svolgimento delle elezioni (art.77, comma 4 e art. 72, comma 5); l'uso più ridotto dei decreti legge sembra ampiamente compensato dai cosiddetti “disegni di legge a data certa” (art. 72, comma 6) con i quali il Governo interviene nel processo legislativo, anche su materia non urgente, imponendo alle Camere contenuti e tempi dell'iter parlamentare.

È stato scritto che il nuovo Senato sarà una camera «che riesca a raccordare lo Stato al territorio». Questa affermazione può essere interpretata come un riferimento al fatto che il nuovo Senato sarebbe eletto, per via indiretta, dai consigli regionali o come un richiamo alla nuova revisione del Titolo V della Costituzione, che correggerebbe la riforma del 2001.
Questa ambivalenza di significato provoca in noi una duplice perplessità. Per un verso, infatti, è provato che i consigli regionali sono stati tra le assemblee locali più affette da corruzione (la cronaca nazionale ne riporta continui esempi). Considerando che per il Senato sarà comunque mantenuta l’immunità parlamentare (art. 68), il fatto che i nuovi senatori saranno scelti per gran parte proprio all’interno dei consigli regionali potrebbe tradursi in una ghiotta occasione per fare accedere all’immunità consiglieri a rischio di processo. Si profila cioè il serio pericolo che il nuovo Senato si componga, in una misura non indifferente, di inquisiti.
D’altra parte, la riforma costituzionale approvata nel 2001 prevede già un rafforzamento dei legami tra Stato e territorio: lo fa devolvendo parte del potere legislativo alle regioni, cioè spostando l’iniziativa delle leggi più vicino ai cittadini. Questa riforma, se approvata dagli elettori, andrà proprio nella direzione contraria: con la citata nuova revisione del Titolo V, gli ambiti in cui la competenza legislativa era concorrente, cioè apparteneva congiuntamente allo Stato e alle regioni, diventeranno competenza esclusiva dello Stato (abrogazione art. 117, comma 3).
In altre parole, se la riforma istituisce qualche tipo di raccordo tra Stato e territorio, si tratta di un raccordo viziato: infatti, si afferma di voler amplificare la voce dei territori ma lo si fa attraverso un Senato i cui poteri effettivi e la cui moralità non sono chiari; inoltre, si accentua il centralismo: così, l’intento di semplificazione normativa si traduce di fatto in una diminuzione dell’autonomia del territorio. (v. ad esempio i punti p), s), u) e v) dell'art. 117, comma 2, nonché le evidenti contraddizioni tra quei punti e parti del dettato del comma successivo)

Oltre a quanto già evidenziato, i sindaci e i consiglieri regionali che verranno eletti senatori dovranno ripartire il loro tempo tra gli enti locali di appartenenza e il lavoro in Senato. A differenza di quanto sostenuto dai sigg. Garzetti e Vassalini, ciò è contrario al «ridurre doppie funzioni […] nell'amministrazione dello Stato»; inoltre è prevedibile che in tal modo diminuirà l'efficienza della loro azione su entrambi i fronti e le possibili scuse per gli assenteisti aumenteranno.
Dunque c'è un rischio consistente che questa riforma ci condanni ad avere delle istituzioni part-time.
 
In generale, poi, ci permettiamo di osservare che:

Non è affatto vero che tutti «i sostenitori del NO non entrano nel merito della riforma», come abbiamo cercato di dimostrare fornendo riferimenti specifici al dettato costituzionale, che ci siamo sforzati di leggere con attenzione. Inoltre, ci siamo avvalsi di alcune interpretazioni giuridiche affermate, come ad esempio quella del prof. E. Rossi (Una Costituzione migliore?, Pisa University Press 2016) e quella dei proff. G. Zagrebelsky e F. Pallante (Loro diranno, noi diciamo, Laterza 2016).

Noi ritentiamo che il NO costituisca la scelta più opportuna per il Paese; eppure non ci sentiamo membri di alcuna “accozzaglia”:
non apparteniamo alla «Destra», né alla «Sinistra radicale», né alla «minoranza dello stesso PD», né perseguiamo «l'obiettivo di tentare di “mandare a casa Renzi”».
Semplicemente, ci viene posto un quesito specifico  sull'ammissibilità di una riforma costituzionale farraginosa, scritta in modo confuso e inadeguata rispetto agli intenti di semplificazione e miglioramento del sistema, e tentiamo di rispondere con maturità politica e senso della misura.
Riteniamo che il momento davvero opportuno per esprimere una valutazione complessiva sull'operato del Governo in carica non sia un referendum costituzionale ma le regolari elezioni politiche allo scadere della Legislatura (in questo caso, nel 2018). 

A tal proposito crediamo che i cittadini della Valle e del nostro Paese abbiano il diritto di scegliere con serenità quale futuro vogliono per le nostre istituzioni, senza che su questa decisione influiscano timori riguardanti il futuro del nostro Primo Ministro.

Noi siamo convinti che un avvicendamento al potere, in seguito a una vittoria del NO, non sia così realistico e inevitabile come viene suggerito – a patto che chi oggi detiene la maggioranza parlamentare (il Pd in particolare) si assuma la propria responsabilità verso il Paese.  
In ogni caso, la nostra fiducia nelle istituzioni di garanzia - tra cui il Presidente della Repubblica – ci fa confidare che anche un eventuale cambio della guardia non costituirebbe un evento apocalittico. Nonostante le parole misurate del sig. Luca Facciano, insomma, ci sembra preferibile non lasciarsi influenzare dai toni ideologici e dall'atteggiamento narcisista con cui Matteo Renzi spaventa e minaccia in modo subdolo la Nazione e ne mette in discussione la tenuta istituzionale, lasciando intendere che, se gli elettori si esprimeranno diversamente da come lui desidera, il Paese entrerà in una crisi che richiederà di nuovo l'intervento di un Governo tecnico.
Ci teniamo a ribadirlo: questo non è verosimile e non è necessario, a meno che non sia Renzi stesso a lasciare che accada.
 
Alla luce di quanto esposto, La ringraziamo per averci permesso di esprimere il nostro punto di vista. Infine, oltre a ringraziarli per averci ascoltati, vorremmo invitare gli abitanti della Valle a ricordarsi di un principio che da sempre anima il loro lavoro e il loro impegno: si fa e si cambia solo se si fa bene e si cambia per il meglio.
 
Michele Ferrari e Alberto Garzoni - Roè Volciano
 


Commenti:
ID69993 - 02/12/2016 11:37:54 - (vassalini.celso@yahoo.it) - Domenica 4 dicembre voterò Sì al referendum costituzionale per cambiare l'Italia.

Domenica 4 dicembre voterò Sì al referendum costituzionale per cambiare l'Italia. Lo farò perché voglio essere protagonista insieme a tutti voi di questo importante passaggio della storia del nostro Paese. Un momento che sarà bello raccontare alle generazioni future. Un voto per il no significa opporsi ad un cambiamento tanto atteso. Insomma diciamo Sì al futuro "Se vince il SI abbiamo un sacco di cose da fare. E lo faremo tutti insieme, senza divisioni. La Riforma Costituzionale non è fine a stessa. È la cassetta degli attrezzi per occuparci meglio dei problemi quotidiani delle persone".Un Abbraccio,Celso.

ID69998 - 02/12/2016 15:32:22 - (alberto_garzoni) - Alberto Garzoni

Grazie per questo pensiero. Abbiamo punti di vista diversi, ma anche tra chi vota NO, per fortuna, c'è chi ama l'Italia. Lavoreremo insieme, e con piacere! , condividendo le " molte cose da fare ", qualunque sia l'esito di domenica. In ogni caso, speriamo che quell'esito sia il migliore per il Paese, al di là delle nostre posizioni individuali. Il resto conta poco. AG

ID70000 - 02/12/2016 21:04:34 - (PETER72) - Anche la letteratura...

Anche la letteratura forse può aiutare a scegliere: "Se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi.” citazione dal Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa

ID70008 - 03/12/2016 18:48:31 - (Sottozero) - NO alla Controriforma

Ci sono tantissimi motivi per dire NO ognuno ha il suo prioritario, la Costituzione deve unire, questa cosidetta riforma (di cui sono "misteriose" le vere necessità) ha spaccato in 2 il paese e con cattiveria (....pacatamente il nostro Presidente del Consiglio ha definito chi dissente da lui un "accozzaglia e la dice lunga sul concetto di neodemocrazia di stampo renzi-bosco-vediniano ) si raccolgono i voti a colpi di fritture di pesce ( De Luca dixit) si è tenuto il paese 6 mesi in campagna elettorale e via dicendo che sarebbe lunghissima...Per finire mi auguro che il fenomeno di Rignano per una volta mantenga la parola data e se perde si ritiri dalla politica, era apparso come una speranza si è rivelato peggio dei mali che asseriva di saper curare....e dopo? Ne troveremo un'altro e difficilmente peggio di questo cialtrone...

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