22 Luglio 2018, 07.19
Serle
Dispersa a Serle

Di pattuglia con gli «speleo»

di val.

Per un po' abbiamo provato a seguire gli esperti speleologi del Soccorso alpino, impegnati in una ricerca approfondita sul territorio, soprattutto sotto


Sono una cinquantina i “büs” o gli “omber” censiti sull’altopiano carsico di Cariadeghe, non per nulla l’area è considerata molto interessante da parte degli speleologi di tutt’Italia e anche oltre.

Molti di più sono i “büs” o i “cuel” non censiti:
«La differenza sta nella loro profondità: se è inferiore ai cinque metri la cavità normalmente non viene censita» ci dice Giordano Frassine, architetto bresciano, che in seno al Soccorso alpino e speleologico, per la parte “speleo”, riveste il ruolo di delegato regionale per la Lombardia.

Ieri l’abbiamo seguito per un po’, mentre era impegnato insieme ad alti colleghi nel mettere in pratica quanto disposto dalla Prefettura: «L’area prossima all’ultimo avvistamento di Ischra deve essere scandagliata centimetro per centimetro – aveva detto ieri mattina ai giornalisti il viceprefetto Giovanna Longhi -. Non possiamo tralasciare nulla, soprattutto le buche o gli anfratti, dobbiamo essere assolutamente certi che la ragazzina non si trovi lì».

Così, mentre duecento e passa soccorritori erano impegnati a setacciare le zone rimaste inesplorate, organizzati in squadre miste di 6/7 persone composte da personale dei Vigili del fuoco, del Soccorso alpino, delle Forze dell’ordine e della Protezione civile, una task force di esperti in cavità sotterranee ha rastrellato nuovamente l’area “calda” con l’intento di non tralasciare proprio nulla.

Trentatre uomini, tutti del Soccorso alpino e speleologico, ma solo due “alpini” e tutti gli altri “speleo”.
«Ci hanno assegnato una macroarea che abbiamo diviso in quattro zone, per poterla setacciare a pettine» ci spiega Frassine.
Dobbiamo guardare anche sugli alberi, ma il nostro compito è soprattutto quello di essere certi di non tralasciare nessuna cavità o anfratto».

E così han fatto: alle estremità c’erano i due “alpini”, con la radio per rimanere in costante contatto con la base. Gli altri sono andati avanti divisi in quattro squadre, tenendosi a vista col compagno che avevano a destra e con quello a sinistra.

In presenza di un buco o di un “cuel” (sorta di riparo poco profondo), fermavano tutti gli altri, uno degli “speleo” scendeva nella cavità per esplorarla e intanto si faceva avanzare il gruppo di coloro che avevano il compito di “segnare il punto” col Gps, per dichiararlo poi “bonificato” una volta per tutte.

E avanti così, per ore.
Soprattutto di provenienza lombarda, dove in tutto ce ne sono 66, i 31 “speleo”, ma ieri ce n’erano anche di veneti, emiliani, trentini, persino dal Lazio: «Oggi avremmo dovuto essere a Fonteno, dalla parte bergamasca del lago d’Iseo, per un’esercitazione, ecco perché alcuni arrivano anche da lontano ed è anche il motivo per cui ci conosciamo tutti abbastanza bene e siamo affiatati» ci ha detto il nostro interlocutore, Giordano Frassine.

Alla fine nessuna traccia di Ischra è stata poi rinvenuta, però in quegli anfratti, attorno al punto dell’ultimo avvistamento avvenuto ormai prima di mezzogiorno di giovedì scorso, di sicuro non c’è.




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