28 Maggio 2020, 10.30
Serle
Speleologia in Cariadeghe

L'Omber en banda al Bus del Zel

di Massimo Pozzo e Vincenza Franchini

Una delle grotte lombarde più estese, in cui generazioni di speleologi bresciani e non, si sono prodigate in lunghe e faticose esplorazioni, si trova sull'Altopiano di Cariadeghe


Al confine meridionale della Val Sabbia, poco prima che diventi pianura, è facile distinguere la sagoma montana dell’oasi naturale in cui si trova l’Altopiano di Cariadeghe.

Il massiccio non ha quote elevate anzi, non tocca nemmeno i 1200 metri con la cresta del Monte Ucia (1168 m) e si estende in linea d’aria per circa 12 chilometri, coinvolgendo i territori di una decina di Comuni situati ai suoi piedi.

L’altopiano è talmente particolare per peculiarità naturalistiche da assumere un’importanza comunitaria con il riconoscimento a “Monumento Naturale”.

Al Comune di Serle il fortunato privilegio di trovarsi interamente immerso nei confini geografici di questo territorio.

Forse però non tutti sanno che oltre alla “bellezza di superficie” di questo paesaggio, dovuta alla presenza di alberi monumentali,  habitat floreali protetti e fauna ben diversificata, ne esiste una sotterranea legata alla natura “calcarea” delle rocce che la compongono.

Un mondo ancora poco conosciuto perché ostile e difficile da percorrere, ma molto sviluppato per la presenza di grotte, abissi e labirinti di cunicoli, con propri habitat altrettanto vulnerabili e sensibili a qualsiasi interferenza con il mondo esterno.

Ostile perché completamente buio, spesso fangoso, freddo ed estremamente umido; le vie di transito talvolta presentano passaggi in cui strisciare (nel fango!), luoghi talmente stretti da mettere a serio rischio l’incolumità mentale di chi li affronta, oppure profonde verticali (pozzi) da far venire le vertigini e percorribili solo con corde e apposite attrezzature.

Un massiccio calcareo è formato da una roccia molto particolare: il calcare. In genere di colore molto chiaro, lo vediamo tristemente estratto dalle tante cave visibili anche dall’autostrada,  perché quello locale (la “Corna”) ha caratteristiche di pregio tali da essere avvicinate a quelle del famoso marmo toscano.
Il calcare però ha un’altra peculiarità e cioè che è facilmente aggredibile dall’acqua piovana.

L’acqua viene poi inghiottita dalle fessure della roccia e dalle tante “doline” presenti (forme a imbuto tipiche visibili in superficie) per essere poi convogliata nelle profondità della terra proprio attraverso i dedali di gallerie che essa stessa modella.

Non è geologicamente corretto dire che una montagna calcarea sia una gigantesca “spugna”, ma il concetto per rappresentare l’assorbimento è quello. E, come una spugna, ben poco rimane in superficie, comprese anche sostanze potenzialmente inquinanti.

Particolare anche l’idea che sia l’acqua il vero artista naturale, che scolpisce il calcare fino a grandi profondità creando canyon sotterranei con passaggi sinuosi e morfologie meandriformi e serpeggianti.  In tante occasioni, quando questi “fiumi del buio” si incontrano tra loro, forze chimiche e meccaniche riescono a creare vuoti talmente vasti da contenere palazzi o cattedrali.

Di sicuro il lettore troverà difficile immaginare che dentro ad uno spazio chiuso, limitato come quello di una montagna, possano esserci vuoti tali da dare senso addirittura di smarrimento a chi li visita per la prima volta.

Ma da dove arrivano queste informazioni?  Chi frequenta questi brutti posti? Gli speleologi.

Sono loro gli unici che possono raccontare le meraviglie di tali universi fatati. Dominati dal buio, il freddo e spesso il silenzio. A meno che non sia interrotto dai rintocchi dello stillicidio, che gocciola dalle stalattiti, o dal fragore di un fiume che scorre.

L’acqua viene assorbita e convogliata verso l’interno e soprattutto sempre più in basso, formando veri collettori sotterranei in una sorta di impianto idraulico naturale, fino a fuoriuscire normalmente dalle risorgenze che nella maggior parte dei casi vengono captate ad uso idropotabile.

Nel caso di Cariadeghe, le conoscenze attuali confermano che si tratta di un vero e proprio “complesso carsico” e che al suo interno ci sono circa trecento cavità conosciute. Queste grotte poi probabilmente sono tutte collegate formando un'unica grande grotta dentro l’altopiano.

Una in particolare, “l’Omber en banda al Bus del Zel”, misura circa 20 chilometri ed ha una profondità che tocca i 420 metri. Un vero “bestione” sotterraneo: una tra le grotte lombarde più estese in cui generazioni di speleologi bresciani e non, si sono prodigate in lunghe e faticose esplorazioni, con permanenze protratte anche per svariati giorni senza vedere la luce del giorno…

Studi del passato e test di tracciamento idrologico (da aggiornare), hanno dimostrato che le acque di questo grande reticolo sotterraneo vengono recapitate alla Sorgente Zugna (presso Nave), mentre quelle legate al versante più orientale del massiccio, quello di Tesio, escono dalla Sorgente Rudone a Paitone.

Nonostante i 20 chilometri di gallerie e la presenza di altri abissi importanti che scendono in profondità, il percorso effettivo di questi fiumi nascosti è ancora ignoto per la maggior parte del tragitto e solo attraverso nuove esplorazioni e nuovi test di tracciamento, sarà possibile indagarlo.

Gli speleologi sono gli unici frequentatori di questi ambienti e anche gli unici a ricostruire le loro mappe tridimensionali dentro la montagna attraverso precisi strumenti di misurazione topografica.

La loro attività da veri geografi del sottosuolo, permette anche di avere indicazioni sullo stato di salute delle acque che scorrono dentro le montagne: “gli speleo” si possono accorgere se inquinanti di superficie vengono trascinati all’interno fino alle falde e recapitate alle sorgenti.

Queste informazioni possono essere molto utili per enti locali e territoriali, dal momento che le zone di assorbimento delle acque possono trovarsi anche a chilometri di distanza dalla loro effettiva fuoriuscita, e difficilmente ci si può rendere conto se i fiumi del buio attraversano porzioni di territorio soggette a forme di inquinamento.

Le grotte lombarde sono tutte censite in un catasto regionale che è possibile consultare: ognuna ha una sua scheda identificativa con un numero dedicato e all’interno ci sono le misure del suo sviluppo, le coordinate geografiche, il tipo di calcare in cui si trova e un disegno topografico che la rappresenta (http://www.speleolombardia.it/catasto/).

I gruppi speleologici che operano in zona sono lo storico “Gruppo Grotte Brescia C. Allegretti” a cui si è affiancato ultimamente anche Underland , e l’Associazione Speleologica Bresciana.

Massimo Pozzo e Vincenza Franchini
Gruppo Grotte Brescia

In foto: Omber en banda al Bus del Zel - Forra Delirio - Foto Matteo Rivadossi




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