07 Settembre 2020, 11.33
Blog - Gira la Ruota

Il «mio» Gavia

di Luca Pietrobelli

Iniziamo con oggi ad ospitare un nuovo Blog, frutto della collaborazione con Luca Pietrobelli, gavardese, giovane ingegnere meccanico che ama condividere la sua passione per lo sport, in particolare il ciclismo. E quando c'è passione c'è storia


 21/07/2019 - Data storica per me, Luca, che per la prima volta ho affrontato un vero passo alpino pedalando in sella alla mia bicicletta: il Passo Gavia.

Per mia natura non sono certamente quello che si può definire un "peso piuma", sono circa 80 kg, qualcosa di più nella stagione invernale, e riesco ad esprimere il meglio di me in sella su strade piatte, al massimo con dentelli o strappi corti ed esplosivi: in rettilineo mi piace lanciarmi in sprint all'ultimo fiato scaricando tutta la potenza che ho nelle gambe e riesco a raggiungere la ragguardevole velocità massima di circa 65 km/h, senza un gregario, solo 10 km/h in meno di quello che si registra in una volata del Giro d'Italia.

La bicicletta mi piace, mi rilassa pedalare dopo il lavoro, nel week-end, scoprire nuovi panorami e perché no, sfidarmi a migliorare.
Ovviamente non si può pedalare sempre su tavole da biliardo, sarebbe terribilmente noioso, in più fra Lago di Garda e Valsabbia, ci sono montagne e panorami stupendi.
Nella mia sgambata quotidiana, ormai da tempo, è sempre presente una scalata: breve, intensa, lunga, difficile, ridicola, non ha importanza, quel che conta è arrivare in cima e godere del panorama e di un qualcosa in più che non si riesce a spiegare.

Un primo contatto con l'idea di affrontare una salita "mitica" della bicicletta lo avevo avuto l'anno passato, con la folle convinzione di poter scalare lo Zoncolan in occasione del passaggio del Giro d'Italia.
Per tutta la brutta stagione ho pedalato sui rulli con quell'obiettivo, con il risultato di ritrovarmi a Marzo, con le prime uscite un pochino impegnative su strada, con una gamba esplosiva.

Alla fine lo Zoncolan non l'ho affrontato, un brutto incidente ad un'amica del mio gruppo di amici della bicicletta ha mandato tutto in fumo, un po' per una sorta di rispetto reverenziale verso la tragedia, un po' per un temporaneo abbandono alla mia passione.

La marcia di avvicinamento alla scalata del Gavia è molto lineare e semplice: non lo sapevo che lo avrei fatto, non l'ho programmato e mai avrei pensato di arrivare lassù pedalando!
Una settimana fa il primo vero contatto con un passo Alpino: Passo Crocedomini, 1892 m sul livello del mare, una maratona di 30 km di salita per arrivare alla forcella, per un giro dal totale di 135 km.
Il Crocedomini è una scalata utilizzata da molti corridori per allenamento, le pendenze in realtà non sono proibitive e il trovarsi vicino casa lo rende molto appetibile come banco di prova per imprese più importanti.

Mi sono ritrovato a salire per quelle rampe con regolarità, senza inutili fiammate, per non intossicare i muscoli delle gambe e raggiungere la vetta evitando crisi di fame (orribili quando capitano) e inutili dolori.
Conclusione? Sono arrivato in cima e pure tornato a casa e sentivo che ne avevo ancora, non mi pesava stare in sella, volavo quel giorno.

Il caso ha voluto che nel gruppo di ciclisti saltasse fuori l’idea che per la domenica successiva, il 21/07 appunto, ci sarebbe stata la possibilità di affittare un pulmino a prezzo stracciato su cui caricare le bici, andare a Ponte di Legno e affrontare la micidiale e "mitica" salita che porta al Passo di Gavia, alla notevole altitudine di 2652 m, forse qualcosa di più.
Mi sono detto "che problema c'è, in compagnia non sarà di certo un problema!".

E così, stamattina, alle 9:40 circa, eccomi in sella in partenza da un parcheggio di Ponte di Legno, vestito di tutto punto, per tentare un'impresa già di per sé importante per un cicloamatore, forse dal valore ancora più simbolico per me.

Ecco come mi presentavo: salopette nera, maglia della squadra professionistica Bora Hansgrohe, team del mio idolo Peter Sagan (velocista), portante ben visibile la bandiera di campione nazionale tedesco (che era Pascal Ackerman, altro velocista), caschetto verde, il mio colore preferito, occhiali argento (pure questi come quelli di Peter Sagan, sembra quasi una fissazione a sto punto!) ed il mio nuovo computerino per la bicicletta, che di fatto non aggiunge grandi funzioni rispetto al vecchio, ma per non farsi mancare nulla, ce l'ha uguale Elia Viviani, altro velocista!!!!

L'obiettivo era questo: stare concentrato, salire con passo regolare, non strafare, non cercare di raggiungere altri ciclisti per passarli ed incrementare il mio ego e cercare di conservare una riserva di energia, non si sa mai.
A Ponte di Legno, start della tappa, la temperatura era di circa 28°C: faceva caldo e c'era un bel sole splendente, di quelli che senti subito ti abbronzeranno il viso.

La salita dal paese conta 17.3 km, non sono tanti, ma le pendenze sono costantemente sopra il 7% con rampe cattivissime anche al 14%.
Arrivati sul posto abbiamo saputo che la salita al passo sarebbe stata chiusa tutta mattina al traffico veicolare, riservandosi ai cicloamatori: cosa chiedere di più? Queste erano le condizioni per avere la cosiddetta "tempesta perfetta". Ottimo, mi son detto, dovrò solo pedalare e godermi le sensazioni ed ogni tanto dare uno sguardo al panorama per vedere se è all'altezza dello spettacolo naturale che mi offrono le mie valli.

I primi 2-3 km, decisamente pedalabili, sono passati velocemente e piacevolmente, con un solo dubbio: fa un caldo cane, se è così fino in cima e non ci sono fontane o rigagnoli, arriverò totalmente disidratato!
La situazione si è poi stabilizzata, con un deciso raffrescamento delle temperature e ottime sensazioni provenienti dalle gambe e, se si può dire, da ciò che sta appoggiato sulla sella! Quella salopette è stata di gran lunga il miglior acquisto della stagione!!!

Quasi subito ho abbandonato i miei compagni di avventura,
decidendo di salire con il mio ritmo, dettato da sensazioni in continua evoluzione. Man mano che pedalavo cercavo riferimenti, pietre miliari, punti di riferimento per capire cosa mi aspettasse oltre un tornante o una rampa. Non amo le competizioni a livello amatoriale, dal mio punto di vista il ciclismo vero è quello professionistico, non mi importa essere migliore di un altro, non vinco nulla e nemmeno mi importa primeggiare nelle classifiche online in cui si raccolgono i tempi di tutti i cicloamatori del mondo: la bicicletta è mia, è un momento mio, l'unico tempo che dovrei battere è il mio, per migliorare rispetto a me stesso.

Per tutto il tempo,
salvo rare eccezioni in cui necessitavo di scaricare la pressione sulla sella, ho pedalato da seduto, come mi è stato insegnato quando correvo in bici, con una pedalata rotonda, un piede a schiacciare sul pedale e l'altro a sollevare l'opposto, come faceva Ivan Basso negli anni in cui era uno dei più forti del mondo.
In bicicletta, per fare meno fatica, ho sempre avuto la buona regola e l'abitudine di voler pedalare in modo fluido, elegante, evitando affaticamenti inutili e dolori articolari, e così è stato pure per questa mia grande sfida.

Ogni tanto volgevo lo sguardo alla valle e mi dicevo:" Dannazione, quanto sono salito?". Il mio unico riferimento per lungo tempo è stato la mia ombra: mi piace un sacco guardarla, riesco a vedere se dondolo, se sono scomposto e, narcisisticamente, mi vedo elegante e più vicino alle ombre dei miei idoli. Con incedere deciso ed inesorabile, accompagnato dalle incitazioni scritte sull'asfalto e si muri che i tifosi disegnano per i loro beniamini del Giro, ho raggiunto l'entrata di un bosco: nel vederla ho avuto un flash. Alberi alti e diritti come stuzzicadenti, tenebrosi, che accompagnano il serpentone d'asfalto: "io questo posto lo conosco!".

Lo conoscevo davvero,
per mille volte l'ho visto e rivisto in TV seguendo la tappa con mio Nonno, grandissimo appassionato di ciclismo, e sul web, ricercando le antiche imprese degli eroi passati.
In quel momento ho avuto un attimo di commozione, come a dire "io sono qui, è come essere in RAI nonno!". Man mano che salivo sentivo sempre di più l'aria pulita invadermi i polmoni, ossigenarmi come non mai i muscoli, darmi qualcosa in più: in realtà era tutta suggestione, sopra i 2000 metri, l'ho sperimentato per una settimana in Cina, l'ossigeno è contenuto in quantità minore nell'aria, e si dovrebbe patire di più.
Beh, questo non è successo, sentivo di volare, di salire leggiadro come mai avrei pensato per il mio standard.

Più salivo e più la vegetazione spariva sui lati della strada,
più salivo e più vedevo la valle e pensavo a cosa stavo combinando, più salivo e più capivo di essere al posto giusto. Per la prima volta dopo tanto tempo ho pensato di essere nel posto giusto al momento giusto, di essere adatto, di non essere fuori posto: era una salita domenicale, non si vinceva nulla, non c'era in ballo una promozione e nessuno mi avrebbe dato dei soldi; in cima non avrei trovato la donna della mia vita e nemmeno nessuno a dirmi "sono orgoglioso di te"; era solo una sgambata senza scopo alcuno, ma io in quel momento sapevo cosa volevo. Volevo arrivare in cima, volevo essere solo su quella dannata cima e dirmi "ce la potevo fare e l'ho fatto perché me lo sono messo in testa".

Era una pedalata, ma per un istante è scattato qualcosa ed è diventata molto di più, per un istante mi sono scrutato dentro, quasi a fare un resoconto della mia vita.
Sarà stata la montagna, il silenzio, il dover contare solo sulle mie forze, il vedere le mie mani sudate stringere il nastro del manubrio come a voler stringere la vita, ma lì una scossa mi ha attraversato.

Ho pensato tanto durante la salita.
C'è qualcosa di sadico e perverso che porta centinaia di appassionati a fare una fatica immane per una foto con un cippo bianco e rosa sul passo e poter dire "io ho fatto quel passo", ma allo stesso tempo c'è qualcosa che rende l'incontrare queste persone in bici una grande festa, che ti fa sentire parte di un meraviglioso popolo.

Ho pensato tanto a mio nonno ed alla passione forte che mi ha trasmesso, lui che ha amato profondamente il ciclismo, passione che probabilmente è esplosa ancora più forte e gioiosa da quando se ne è andato. Infine ho pensato ai corridori: che fatica farla a tutta!

E poi, d'un tratto, quando le temperature si sono abbassate a circa 17-18 gradi, ecco la galleria: la galleria del Gavia, forse la galleria più inquadrata dalle televisioni di tutto il mondo.
Tutti l'hanno vista da fuori, ma dentro cosa c'è? Ci sono passato dentro, non lo so cosa c'è. C'è un buio pesto, senti le voci di quelli che scendono e la fatica di quelli che salgono, non vedi la tua ruota (vabbè, è nera!) e nemmeno l'asfalto. Pedalando dentro quella galleria ho capito perché al Giro d'Italia il gruppo entra e sembra non esca più: è lunghissima! Una volta sbucato, con la temperatura che è scesa ancora di due gradi ho pensato che il fatto che quel tunnel sia così buio abbia giocato a mio favore: se avessi visto la tremenda pendenza della strada avrei girato la bicicletta e sarei sceso alla ricerca di una trattoria.

A volte il buio fa paura, a volte il buio ti da una mano non indifferente. Ancora alcune pedalate, sempre più pesanti e poi...una pietra miliare, l'ultima, con l'indicazione dell'ultimo chilometro: la mia specialissima e personalissima flamme rouge! Nelle orecchie mi risuonavano le urla sentite nelle varie tappe del Giro d'Italia, come un'eco di un tempo lontano e le storiche voci dei commentatori urlare "la flamme rouge, ultimo chilometro! Si decide tutto qui!"

Quell'ultimo chilometro non si può raccontare, quell'ultimo chilometro non appartiene ad un Giro, non appartiene ad una corsa, non c'erano tifosi, non c'era la RAI, c'ero io, e non me lo scorderò. Arrivato in cima, al passo, non ho urlato, non avevo il fiatone, non volevo sollevare la bicicletta. Ho sorriso, sorriso tanto, ho ripensato ancora al nonno, che lì ci era arrivato in moto, e a quanto sarebbe stato stupito di vedermi arrivare lì in bici, lui che diceva "sei troppo pesante per le salite!" 

Questo è stato il mio Gavia.
Chissà quanti l'hanno fatto e quanti lo faranno. Chissà che emozioni proveranno, uniche e probabilmente irripetibili.
Arrivato in cima era tutto finito e bisognava solo scendere per poi lasciarsi andare a festeggiamenti con gli amici davanti ad una tavola imbandita.
Di fatto nulla di nuovo, semplicemente una sgambata, ma le emozioni che si provano salendo...bisogna provare!

Oh, il prossimo è lo Stelvio!





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