23 Marzo 2020, 11.06
Pensiero

Intorno l'accadere, il virus ha un solo nemico, la tecnica

di Dru

Se il mondo è imprevedibile, il pensiero che lo pensa può contenerlo, come può accadere che gli sfugga


La Grecia, con il pensiero fin lì inaudito della filosofia, ha retto strutture atte al contenimento delle cose del mondo.
Il pensiero mitico ergeva giganti con piedi d’argilla.
Anche l’uomo del pensiero mitico, con il suo racconto, è convinto di prevedere i fenomeni.
Aristotele trova una profonda assonanza tra il mito e la filosofia, il rimedio a Thauma (trauma) che trasforma le cose imprevedibili e dunque terribili, in cose prevedibili e dunque evitabili.

La Sapienza, per i primi grandi pensatori, è il margine che contiene l’esperienza, al punto tale che prevede con i suoi principi ciò che può accadere.
A differenza del mito l’episteme deve porsi con verità (aletheia).

Aletheia significa svelamento, non nascondimento, chiarore: le cose del mondo vanno viste per quello che sono e non per come vogliamo che siano.

Una rete che contiene il mare e non soltanto i suoi abitanti, è la ragione.

La ragione, o relazione del pensiero con il mondo delle cose,  è il principio di conoscenza che fa luce sul senso stesso della cosa pensata.

Il contenuto della sapienza restituisce un potere divino, è che Dio sa tutte le cose del mondo, il sapiente ne sa in parte, ma le cose che sa sono le stesse di Dio.

Questo il valore epistemico della sapienza, contrapposto alle forze travolgenti delle cose del mondo.

Sapere significa contenere.

Sapere significa ergersi a tal punto da non poter essere scosso da nulla e da nessuno.

Questa  barriera, che respinge e restituisce il senso, è il senso che lega il pensiero al mondo delle cose, la ragione del sapere.

Il mondo delle cose parimenti va contenuto in quanto tale, perché è diveniente, le sue cose divengono altro: la legna diventa cenere, il giovane diventa vecchio, il giorno diventa notte.

L’essere diventa nulla.

Si noi mortali ci consideriamo transeunti, di passaggio, un passaggio dal non essere al non essere, dalla nascita alla morte; per ogni attimo di ogni cosa ormai questa è l’evidenza suprema:  io ero significa io non sono più quello che ero; io sarò significa io non sono ancora quello che diverrò.

Il verbo detta il tempo delle cose tutte e le cose tutte restano fin tanto che non cadono dal verbo: accadono appunto.

Il divenire altro è ciò che va contenuto sapientemente,
tuttavia è anche ciò che per essere deve oltrepassare ciò che lo contiene.

Per prevenire il divenire la filosofia, la giustizia, la scienza, la politica e le religioni hanno eretto i loro tabernacoli di sapienza nella episteme, con l’intento di controllarne il divenire.

Dentro il senso, che sia epistemico, di legge, fisico matematico, di governo o di Dio, il divenire altro assume una dimensione controllata dal senso stesso.

Ma la stessa evidenza del divenire altro per essere deve oltrepassare ogni episteme, legge, governo e Dio che si frappone e ne impedisce lo sviluppo, la novità.

Se Dio è onnisciente, le cose che escono dal nulla possono nascondersi dal suo saperle tanto che esso ne venga sorpreso? No afferma Dio, il Dio epistemico, il Dio della sapienza.

Se la teoria geometrica afferma che da due punti passa una ed una sola retta, può un’altra teoria geometrica negarne il principio? No nella geometria epistemica della sapienza.

Accade dunque che le cose tutte, per divenire altro, hanno rotto il vincolo delle cose del mondo con la ragione che le vincolava al pensiero, soffocandone lo sviluppo.

La ragione del mondo delle cose tutte torna ad essere quella sorretta dall’evidenza del loro divenire altro.

Siamo appunto nel tempo in cui le cose sono senza verità.

Dio è morto, afferma Nitzsche, per far spazio alla potenza dell’uomo, la tecnica, Euclide tramonta nel suo quinto postulato, per dar posto alle geometrie non euclidee.

Nasce a Brescia un filosofo che ci ha testimoniato tutto questo, è Emanuele Severino, che ha messo in discussione l’indiscutibile divenire altro come la massima delle follie.

E se le cose non divenissero altro da sé? Se fossero eternamente quelle che sono, cioè fossero sé stesse?

Se il loro diventare altro, dunque il loro venire e andare nel nulla, fosse un errore causato da una distorta visione di ciò che ci appare?

D’altra parte, l’esperienza non attesta affatto ciò  che sfugge al suo contenuto, e questo contenuto non lo esperiamo, ma siamo tutti convintissimi del suo annientamento. Appare nella cenere che il legno si è annientato? Appare nel vecchio che il giovane si è annientato? Appare nella notte che il giorno si è annientato? No, non appare, non solo perché potrebbe un giorno apparire, ma perché è necessario che non appaia.

Occorre, dice il nostro, che l’esperienza sia riempita di tutti i suoi contenuti prima che li popoli si accorgano dell’errore che permette la violenza del pensiero.

Occore la pax tecnica,
il tempo in cui gli uomi potranno realizzare tutti i propri desideri attraverso la tecnica o tecnoscienza, basata non più sul fondamento della verità dell’essere, ma sulla capacità di agire per trasformare questo mondo.

La tecnica è l’organizzazione di mezzi in vista della realizzazione di scopi.

La scienza per prima ha abbandonato il sapere epistemico per rendersi disponibile alla tecnica.

Non più teorizzare per sapere, ma per funzionare.

La politica che vuole essere grande deve comprendere che da fine deve diventare mezzo di questa evoluzione del pensiero, altrimenti ne verrà travolta.

Tornando al quotidiano, che è espressione di questa evoluzione, vi lascio con una riflessione: che il Professor Conte abbia davvero compreso Emanuele Severino?

Dru



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