28 Luglio 2020, 06.02
Blog - Circolo Scrittori Instabili

Tre amici

di Alessandro Tondini

«Forza Pucci, sbrigati a salutare la mammina!»
«Dai Carlo, non fargli pesare sempre ‘sta storia, io ti avrei già tirato un cartone in ghigna.»...


...«Ma a te, Enrico, non ti prenderei mai per il culo perché me lo faresti tu! Eccolo che esce… e dietro la madre. Niente da fare, Guido non se ne libererà mai.»

«Invece, secondo me, caro il mio Carletto, il nostro peluche, tra non molto, ci sorprenderà.»

«See, figurati se il panda mannaro si sbriga a darsi una mossa. Ma cosa te lo fa pensare?»

«È da stamattina che mi frulla questo pensiero. Ho fatto un sogno incasinatissimo e, quando mi son svegliato, l’unica cosa che ricordavo era Guido che viaggiava su un’astronave color smeraldo, tutto felice.»

«Fai dei sogni da minchione. Nei miei ci son solo donne, tutte nude.»

«E infatti, povero pirla, te le sogni e basta. Dai sposta le borse e fai entrare il Pucci.»

«Ciao ragazzi, fa un bel freddino vero?»

«La mammina non ti ha fatto mettere la maglietta di lana?»

«Santo Cielo Carlo, sei sempre il solito!»

«Non dargli retta Guido, la mamma di Carlo l’ha tirato su a ceffoni.»

«Dai Enrico, fai partire ‘sta carretta di macchina, che oggi si gela per davvero e, se il Pucci ha la maglia di lana, io ci ho le mutande di cotone e il mio di dietro si sta ibernando.»

«Santo Cielo, vedi che fa davvero freddo?»

«Carlo, ringrazia la carretta che ti porta all’università. Preferivi farti un bel viaggetto col trenino a gasolio? Partenza alle due, arrivo a Parma alle otto?»

«No, per carità. Meglio due ore in macchina col pucci. Almeno mi diverto a sfotterti un po’, Guiduccio mio.»

«Santo Cielo, che ci posso fare se mia madre mi chiama così?»

«Be’, stavolta Carlo non ha tutti i torti, non sei più un bambino… »

I tre amici erano partiti dal lago di Garda e si stavano inoltrando nella “bassa”.

«Santo Cielo, com’è densa la nebbia oggi, sembra di viaggiare immersi nella schiuma da barba.»

«Enrico ci vedi bene? Non è che si rischia di finire in qualche fosso?»

«Tranquillo Carletto, oltre che molesto sei pure un cagasotto. Guarda il Pucci, lui non fa una piega, ma… cos’è stato?»

«Cos’è stato cosa?»

«Ma non hai visto Carlo? Ci ha attraversato la strada una roba stranissima, alla velocità della luce.»

«Santo Cielo, da qui dietro ho visto un’ombra, però era bella grossa.»

«Un’ombra? Sarà stato un cane.»

«See, un cane. Era grande almeno come un cavallo, sei proprio orbo Carlo, io mi fermo a vedere.»

«Non fare stronzate, è pericoloso, tira dritto Enrico.»

«Santo Cielo Carlo, sei proprio un fifone Carluccio mio… »

«Dai Guido, lasciamo perdere, sennò ‘sto qui me la fa sul sedile.»

«Sfottetemi pure, io non rischio e poi fa un freddo boia, c’è ‘sta nebbia lattiginosa del cazzo e sta venendo buio.»

«Carletto sei una lagna. La nebbia di stasera è incredibile, sembra uscita dalla cucina di un mago.»

«Santo Cielo, è come panna montata.»

«È vero Guido, ma il nostro Carletto non è un tipo poetico.»

«Invece di sparare cazzate vediamo di fermarci al primo locale che troviamo, così ci beviamo qualcosa di caldo.»

«Ma sì dai», annuì Enrico, «è una buona idea, prima del ponte sull’Oglio c’è una specie di bar trattoria.»

Mentre i minuti passavano le tenebre consumavano senza fretta quel che restava del pomeriggio. La nebbia, intanto, sempre più corposa, si mangiava quel poco che era rimasto visibile.

«Eccoci arrivati. Per fortuna è aperto, c’è l’insegna accesa: Stargate? Ma come? Non si chiamava Il canneto?»

«Che ti frega del nome Enrico, parcheggia lì e andiamo dentro.»

«Avran cambiato gestione, Santo Cielo.»

Scesi dall’auto furono avvolti da una stretta intrisa di ghiaccio bagnato. Si catapultarono nel locale rotolandoci dentro.

«Cosa prendi Enrico? Io mi faccio un punch.»

«No, niente alcol, mi berrò un cappuccino bollente, e tu Guido cosa vuoi?»

«Non so, vado prima in bagno.»

Dietro al bancone, una ragazza dai capelli ramati e con la pelle del viso color porcellana li osservava sorridendo mentre un bambino biondo platino girovagava, fra l’ingresso e il corridoio, su una biciclettina con le rotelle.

A un tavolino era seduto un omone col cappello in testa e con un bicchiere di vino rosso in mano: «Visitatori, benvenuti nel nostro mondo!», esclamò con voce biascicata alzando il bicchiere.

La ragazza ridendo chiese: «Da dove venite? Da molto lontano?»

Enrico e Carlo si guardarono perplessi.

«Veniamo dal Garda. Non è così lontano», disse Enrico aggiungendo una smorfia ironica.

«Qui viene solo gente del posto, è difficile vedere facce nuove», rispose gentile la ragazza.

L’omone si tolse il cappello e, dopo aver trangugiato il suo rosso, borbottò: «Gli unici clienti sono i fantasmi della nebbia».

«Ma com’è possibile?», intervenne Carlo, «Il bar è sulla strada principale, non si ferma mai nessuno?»

La ragazza spalancò i suoi grandi occhi scuri e allargò ancora di più il suo sorriso: «Strada principale? Qui siamo in mezzo ai campi».

Enrico rimase di stucco: «Ecco perché il nome del locale non mi quadrava».

«Bravo Enrico, la prossima volta è meglio se guido io… a proposito, dov’è finito il Pucci?»

«Non starà mica male? Dai Carlo andiamo a vedere.»

Seguiti dagli sguardi incuriositi dell’uomo e della barista, i due si diressero ai bagni. In fondo al corridoio il bambino pedalava verso di loro imitando il rumore di una motocicletta.

Giunti alla porta della toilette la trovarono aperta: non c’era nessuno.

«Hey tu,» si rivolse Carlo al bambino, «hai visto uscire qualcuno?»

Il bimbo lo guardava divertito muovendo la testa a destra e sinistra.

«Sei sicuro?», aggiunse Enrico, «Prima è passato di qui un ragazzo, vero?»

«No», rispose il piccolo ciclista, «ma ho sentito una voce».

Enrico e Carlo restarono allibiti.

«Come una voce?», chiese Enrico.

«Non so», spiegò il piccoletto, «parlava del cielo».

Carlo e Enrico si fiondarono fuori dal locale. La nebbia era svanita e la campagna luccicava di gelida umidità. In lontananza notarono delle sagome scure che parevano rincorrersi. Non si udiva il minimo rumore e i due si lanciarono un’occhiata smarrita.

Nella notte, appena illuminata da miliardi di puntini tremolanti, una gigantesca meteora verde attraversò l’intera arcata celeste. Enrico venne invaso da un senso di serenità, a Carlo si riempirono gli occhi di lacrime. I due amici avevano capito e, a bassa voce, sussurrarono: «Santo Cielo, se n’è andato!»
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Per gentile concessione del Circolo Scrittori Instabili, blog sul quale si sperimentano gli appassionati che hanno frequentato i corsi di scrittura creativa tenuti da Barbara Favaro.




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