31 Dicembre 2019, 13.53
Eppur si muove

Fuga da Matrix

di Leretico

Quando la nave Costa Concordia il 13 gennaio 2012 fece naufragio sull’Isola del Giglio in Toscana, Russel Rebello, un giovane indiano che lavorava a bordo come cameriere, nel piegarsi pauroso della nave sul lato di dritta, fu colpito da un pesante mobile all’interno di una cabina del ponte 8...


Svenuto, rimase sotto quel mobile anche quando la cabina si deformò per la tremenda pressione esercitata dal peso della nave che, proprio con quella parte della murata, si appoggiò agli scogli del Giglio. Quando l’acqua arrivò in quella cabina del ponte 8, Russel Rebello era probabilmente già morto.

Il perché si trovasse sul ponte 8 è ancora un mistero.
Ci vollero due anni e dieci mesi per ritrovare le sue spoglie, e in quel lungo periodo di tempo le speranze drammaticamente si alternarono allo sconforto di saperlo perduto. Tutti i racconti dei superstiti lo davano sulla nave, al ponte 4 ad aiutare i passeggeri. E poi la misteriosa salita al ponte 8. Oltre tale limite solo l’incognito silenzio del mare.

Questa la storia di un giovane sfortunato.

Tutta la sua vita converge verso quella cabina del ponte 8, polo di attrazione fatale. Purtroppo il caso, se così lo vogliamo chiamare, s’ingegnò in tutti i modi per inchiodarlo là dentro e non farlo più tornare a casa.
Ora, cerchiamo di leggere questa storia lungo una dimensione alternativa, fantastica.

Immaginiamo un cameriere indiano che lavora su una nave da crociera, fuggito dalla propria terra e dalla famiglia: avara la terra, amara la famiglia.
Immaginiamolo in parallelo al pirandelliano Mattia Pascal e al suo alter ego Adriano Meis.
Mattia Pascal vince una somma di denaro considerevole alla roulette di Montecarlo; Russel Rebello si accorge di aver vinto una cifra enorme giocando un paio di euro al superenalotto poco prima di salpare a bordo della Costa Concordia. Non può dirlo a nessuno di aver vinto, ovviamente, potrebbe essere molto pericoloso.

Mattia Pascal tornando verso casa da Montecarlo scopre, leggendo un giornale, che la sua comunità e la sua famiglia lo credono morto suicida: un cadavere irriconoscibile è stato trovato a Miragno (luogo immaginario in Liguria poco distante da Montecarlo) e identificato con la sua persona. Ecco dunque l’insperata occasione, strappata al destino, per cominciare una nuova vita col nome di Adriano Meis.

E ora immaginiamo Russel Rebello, mentre aiuta sul ponte 4 i passeggeri ad evacuare la Costa Concordia, ormai compromessa dallo scontro con le rocce acuminate dell’isola del Giglio.
Siamo sicuri che, nonostante il trambusto dell’emergenza, non si è dimenticato di dover recuperare, prima di abbandonare la nave, il biglietto della sua vincita milionaria, prudentemente occultato agli sguardi indiscreti nella cabina servizi del ponte 8.

Lo vediamo dunque correre verso il ponte 8. Mentre sale velocemente le scale strette che vanno da un ponte all’altro, la nave si inclina con uno colpo violento. Russel cade, si rialza, riprende la salita zoppicando leggermente. La struttura della nave geme tremando sotto i suoi agili piedi. Lontano, urla, vetri infranti, nel vano scala le luci perdono potenza ronzando a intermittenza.
Poi finalmente lo vediamo entrare nella cabina del ponte 8 e recuperare il biglietto infilato nella cornice della porta.

Tuttavia,
non si è mai accorto che sin dal giorno della vincita milionaria, qualcuno lo controlla, lo segue, nell’ombra lo ascolta e lo osserva.
Se ne rende conto solo quando, guardando verso il fondo della cabina, intravede la gamba di un uomo sotto un pesante mobile di ferro.
Il destino aveva colpito chi lo spiava e lo aveva preceduto per rubargli il biglietto. Silente, raggiunge il mobile caduto, si piega sulle gambe, controlla meglio ciò che ha attratto la sua attenzione: un collega giace schiacciato, sepolto da quel mobile troppo pesante. Lo ha riconosciuto dalla tuta uguale alla sua. È morto.

Per un attimo l’orrore lo immobilizza, ma subito l’adrenalina lo scuote: non può perdere tempo, potrebbe essere fatale anche per lui.
Pensa velocemente: il caso, pur nell’imminente catastrofe, gli sta offrendo per la seconda volta il premio della salvezza.
Si muove: scambia il suo cartellino identificativo con quello del collega, il resto lo farà Poseidone.

La nave si piega ancora, i motori la spingono sempre più verso gli scogli della riva. In pochi minuti tutto si compie, la Costa Concordia, come una balena morente, giace su un fianco affiorando con metà del corpo dall’acqua nera antistante Giglio Porto, rischiando in ogni momento di sprofondare per sempre negli abissi.
I passeggeri attendono come formiche impazzite sulla pancia scoperta della nave, che giace esangue sugli scogli. È buio, i soccorsi tardano. Nell’oscura notte del Giglio la morte ha già caricato in spalla il suo macabro fardello prima di riprendere l’interminato cammino, mentre per Russel Rebello comincia una nuova vita.

Sappiamo purtroppo che non è andata così.
Ecco, abbiamo immaginato un racconto impossibile, eppure perfettamente plausibile nel 1903, anno in cui Pirandello scrisse “Il fu Mattia Pascal”.
Tuttavia, è il carattere di questa odierna impossibilità ad essere segno preoccupante dei tempi: scomparire oggi è impossibile.
Negli eventi eccezionali, catastrofici, nella parola “disperso” si raggruma la doppia sofferenza della speranza come della perdita.

Nei primi momenti in cui le notizie dei disastri si diffondono
, tutti abbiamo bisogno di sapere dove sono finiti i “dispersi”, perché ci sentiamo dispersi anche noi. Non possiamo ammettere che dei corpi finiscano nell’indeterminato, introvabili.
Essi evocano l’insopportabile solido nulla, direbbe Leopardi. La certezza del corpo ritrovato, vivo o morto, ci libera dall’angoscia dell’insondabile.
Questa frenesia del “ritrovamento” non solo è del singolo ma pervade l’intera collettività.

Ogni scomparsa è una ferita che non può rimarginare senza che almeno un corpo venga trovato. E questo perché la nostra paura del nulla deve essere in qualche modo sedata, occultata, rimossa.
Per trovare il corpo di Russel Rebello, dicevamo, sono occorsi circa due anni e dieci mesi. Un periodo lunghissimo, durante il quale spesso ho immaginato che il racconto della sua vita potesse davvero assomigliare a quello de “Il fu Mattia Pascal”. Alternativa formidabile a confronto del vero terribile finale che abbiamo infine scoperto.

Eppure, una riflessione che vada al di là della pur condivisibile umana pietà, va comunque tentata.

Enrico Fermi ebbe a dire a proposito della misteriosa scomparsa del geniale fisico siciliano Ettore Majorana:
“Con la sua intelligenza, una volta che avesse deciso di scomparire o di far scomparire il suo cadavere, Majorana ci sarebbe certo riuscito”.
Era il 27 marzo 1938.

Mi domando: Ettore Majorana, traslato nel 2020, sarebbe riuscito a scomparire come fece così efficacemente nel lontano 1938?
La risposta è sicuramente negativa.

Oggi, se mai l’abbiamo veramente avuta
, non abbiamo più la libertà di scomparire.
Nemmeno un evento eccezionale, come il naufragio della Costa Concordia, potrebbe essere l’occasione giusta per dileguarsi, per uscire di scena, senza rimetterci la vita. La libertà di dissolvere la propria identità nel nulla, allo scopo di adottarne una nuova, ci è impedito; l’altrove ci è perentoriamente negato.

I resti del cadavere di Russel Rebello furono controllati con la prova del DNA. È impossibile dunque che quel corpo non fosse il suo.
E se non lo avessero riconosciuto in quel modo, se veramente si fosse funambolicamente salvato, come nel piccolo racconto più sopra, lo avrebbero scovato in un altro modo. Una telecamera lo avrebbe prima o poi ripreso fuori da un supermercato, una immagine sui “social” lo avrebbe tradito. L’occhio del “Grande Fratello”, capace di riconoscere un viso tra centinaia di migliaia, lo avrebbe individuato ovunque fosse passato, ovunque si fosse rifugiato.

È troppo importante, per chi resta nell’al di qua
, risolvere i problemi di eredità pendenti dopo una scomparsa, senza contare i parenti assetati (o affamati), le assicurazioni malpensanti e malpaganti, i creditori o i debitori secondo che minore o maggior fortuna sia stata spettatrice di quei vitali umani entusiasmi che diconsi vita.
Una squadra enorme di segugi digitali è sempre pronta per essere inviata sulle tracce del malcapitato di turno, orda di lupi tecnologici e fantascientifici da cui è impossibile fuggire. Ecco perché non possiamo in alcun modo essere dimenticati: nessun diritto all’oblio.

È davvero paradossale
: siamo tanto preoccupati di essere mortali da non renderci conto, invece, che cercare di cancellare le nostre vite dal “Sistema” digitale in cui sono inscritte, è letteralmente impossibile. Siamo, insomma, condannati all’immortalità: siamo prigionieri di Matrix.
Un errore, o presunto tale, registrato nel “Sistema”, è per sempre. Viene riproposto all’infinito. Ogni copia dell’errore diventa origine di milioni di altre copie.
Cancellandone una si scatena una inondazione di copie successive che ci sommergono, ci inghiottono, ci annegano. Non c’è speranza: il marchio è eterno.

Non importa se tale marchio corrisponda o meno a verità
. Non importa se qualcuno ha voluto che fossimo registrati e ricordati in un modo piuttosto che in un altro. Non importa che ci siano sentenze o revisioni, conferme o ricusazioni: non si può scomparire. Non ci si può pentire. Non si può cambiare la “blockchain” che ci ha incamerato e incatenato come colpevoli.
L’aquila tornerà per sempre a squartare il nostro fegato col sua becco acuminato, incatenati come siamo alle rocce impervie della Scizia.

Troppo bene ha compreso questo apocalittico meccanismo
stritolatore quella ragazza napoletana, Tiziana Cantone morta suicida il 13 settembre 2016, dopo aver chiesto più volte che fossero cancellate dalla rete le immagini di alcuni video suoi privatissimi.
Troppo lacerante il senso di colpa e la vergogna, per resistere al cerbero della rete, alla gogna imperitura dei guardoni del web.

Quelle immagini hanno continuato a circolare anche dopo la sua morte, e forse ancor più dopo quella morte, per quella morte, che dunque si ripeterà milioni di volte, infinite volte ancora, senza requie, a memento imperituro della follia insita nello strumento disumano che non ci permette di dimenticare.

Senza poter dimenticare non possiamo scomparire. Senza oblio non troveremo mai “la maglia rotta nella rete che ci stringe”, non potremo mai fuggire da Matrix.

Leretico





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