Il pensiero è un gioco. Un gioco che da soli si gioca. Un gioco in cui, data una mossa, un'altra ne è necessaria a precedere o seguire – e ciò che si persegue solo ingannevolmente è un risultato, ma una trama
ti ringrazio. Lo scritto intende suggerire l'irrinunciabilità del pensiero e al contempo la sua arbitrarietà, nonché ambiguità. A me pare che il modo greco di impostare il problema sia sovraccarico di enigmaticità (in senso proprio etimologico) e che questa sua enigmaticità si possa far risalire al mito, troppo spesso sbrigativamente liquidato dal pensiero cosiddetto 'illuminato'. E se anche Platone ricorre al mito per esprime le più alte verità, forse i termini della questione vanno quantomeno rivisti, se non proprio invertiti.
Proprio nel passo dove stabilisce il nesso tra filosofia e "meraviglia", Aristotele osserva che anche il philomytos (alla lettera "colui che ama il mito", ossia che costruisce i miti e crede e vive in essi) è in qualche modo filosofo, perché anche la costruzione dei miti scaturisce dalla "meraviglia", cioè dal terrore che il divenire della vita produce nell'uomo. Anche il mito, infatti, raccoglie gli eventi del mondo all'interno di una spiegazione unitaria: predispone un'interpretazione stabile dell'universo e attende, preparato da essa, l'irrompere degli eventi, i quali dunque perdono la loro imprevedibilità terrorizzante e si adeguano all'ordine cosmico enunciato dal mito. (N.b.) anche la conoscenza mitica delle cause e degli eventi è un rimedio contro il terrore dell'imprevedibile.
Passo ineccepibile quanto pertinente - al solito. La mia impressione non dista affatto da quella di Severino e di Aristotele: il mito è certo una lettura della realtà - come del resto lo sono la filosofia, la religione, la morale e la scienza. Si tratta di capire le 'leggi' che regolano ciascuna di esse. Quello che a me pare però (ma è solo un'impressione appunto) è che non la mitologia sia una forma della filosofia, quanto piuttosto la filosofia una forma della mitologia.
La mitologia non ha bisogno di essere fondata e dimostrata, si ritiene appagata dalle sue tesi, che rimangono tali sulla conferma data, alle sue asserzioni, dai fenomeni mondani o di concetto. La filosofia per prima pone le basi per una "verità" che non sia "ipotetica" (mentre il mito e la scienza son in questo lo stesso, ipotesi realizzabili sul presupposto della prova). La ragione è della filosofia, che sulle sue affermazioni unitarie di un mondo di fenomeni, risponde epistemicamente e non sul dato. Il dato per filosofia non è dato, data è la fede nel dato. Ora, affermare che la filosofia sia una forma del mito è vero per ciò che concerne l'aspetto temporale, è falso per quello di concetto. Il mito parla di "distruzione" e anche di "creazione" ma lo fa al riparo del concetto più ampio possibile, concetto fondato ontologicamente.
intendo dire che filosofia instaura un rapporto tra fenomeno e concetto del fenomeno come rapporto di identità, sostenendo che esso, il rapporto, non è rapporto di sola volontà, si che esso possa "divenire"altro. Si tratta di comprendere che ogni fallimento di questo identificarsi non pregiudica affatto "la verità" o "identità", che resta pregiudicato infatti è il concetto del fenomeno come fenomeno del concetto, si che ciò che è dato di questo concetto è la fede in ciò che è dato. Ma la fede appare, quella non è più fede nel dato, la fede è data. Cogito ergo sum.
faccio filosofia, nessuno scienziato coerente potrebbe mai dire di un dato che è dato, dirà sempre, quello, che un dato è confermato dalla teoria, ma la costante ripetizione di un fenomeno è costante empirica (di fenomeno), non logica (di ragione), che per essere confermata identica alla teoria va continuamente verificata, provata. La filosofia si permette ciò che la scienza non può e lo fa sui principi logici e di ragione. Quando dico che è la fede nel dato ad esser data, intendo proprio distinguere il mito dalla filosofia, perché il mito si ferma alla dimensione interna alla seconda parte di questa affermazione, cioè non ha bisogno di esser fondata, mentre in filosofia questa affermazione non accetta negazione , o meglio, la sua negazione è autonegazione:
se il dato non fosse la fede nel dato, o non sarebbe nulla o sarebbe l'essere. Se il dato fosse nulla, allora non sarebbe dato, ma sarebbe nulla, mentre se il dato fosse l'essere, allora nulla più avrebbe bisogno di esser detto. ma che il dato è la fede nel dato non significa che allora la fede è la verità, anzi, la fede diventa la verità proprio quando è questa posizione mitica ad esser accettata.
'Discorso sul metodo': titolo geniale! Afferra, morde, lacera. Inquieta, immobilizza, mette persino paura. E, neanche a dirlo, costringe a pensare. Serpente che si morde la coda.Mi vengono in mente i monaci zen che si allenano a non pensare. Giocano questo gioco o lo fuggono?
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ID59711 - 31/07/2015 05:30:41 - (Dru) - Molto bello anche questo scritto
Ma il gioco dispone il pensiero a credere che vi sia chi gioca e il giocattolo con cui chi gioca gioca, un dialogo, anche se tra enti. È vero, fuori c'è il pensiero, ma fuori e dentro sono due luoghi e nuovamente il pensiero si dispone secondo il diverso modo di pensarli.La coscienza, o presenza, sembra questo dialogo fra enti. Allora che l'ente sia è immediatamente noto, o noto per sé, cioè non è noto per altro. Questa immediatezza è il pensiero, in questo modo il pensiero è solo, direi unico, la singolarità del tutto, ma il pensiero è pensato, la dualità qui esprime la pluralità e il dialogo è serrato, come per i colori la luce. Logos e Phainestai, pensiero e manifestazione del pensiero (o pensato), un dialogo serrato.