23 Settembre 2019, 11.00
Val del Chiese
Storia

Il mondo contadino degli anni 50 a Baitoni

di Gianpaolo Capelli

La storia della frazione a lago di Bondone è relativamente recente. Ecco un excursus storico dall’inizio del 1800 ai giorni nostri del “nostro” Gianpaolo Capelli


“Due paesi una lingua... un antico castello” così recita l'inno di Bondone e Baitoni. Bondone il paese dei carbonai, Baitoni il paese dei contadini fino all'arrivo della industrializzazione verso metà degli anni 60, con l'insediamento della ditta Benini di Agnosine a Baitoni.

Per conoscere il mondo contadino fino a che gli abitanti di Baitoni trovarono posto nelle fabbriche, nell'edilizia o altri lavori, che non comportava più l'unico lavoro dei loro padri, il contadino, i lavori agricoli e i prodotti che dava la terra erano solo per la necessità della famiglia.

Inquadriamo brevemente e storicamente Baitoni e la sua piana.

La piana di Baitoni confinava con il Pian D’Oneda dove ora c’è Ponte Caffaro. Zone paludose, confinanti con il Lago d’Idro, che venivano inondate dalle piene autunnali e primaverili dei vicini fiumi Chiese e Caffaro.

Le origini di Baitoni risalgono al 1800 circa.

Del Pian d’Oneda fu iniziata la bonifica dai monaci benedettini verso il secolo XIV. La piana di Baitoni, confinante sempre con il Lago d’Idro, dove regnava la malaria fino al 1850, debellata in seguito all’abbassamento dell’alveo dell’emissario del Chiese,  dove sorge Idro, emissario che permetteva il deflusso delle acque stagnanti del lago. Fu proprio all’inizio del 1800 che venne fondata Baitoni. Alcuni abitanti di Bondone, già allora piccoli contadini ed altri a cui non piaceva più andare a far legna e carbone, iniziarono a bonificare la piana di proprietà del comune di Bondone. Negli archivi della Provincia di Trento: servizio autonomie locali, si legge quanto segue che va a riconfermare le origini di Baitoni:

“Nella località Baitoni della frazione di Bondone, (Comune di Storo dall’1.1.1929 al 31 ottobre 1953), esistevano delle terre di diretta proprietà del Comune (cosiddetti novali o squadre) che sin dal 1919 venivano date in concessione a soggetti privati (circa 132 famiglie) a titolo formalmente di affitto novennale, ma in realtà con concessione di utenza a miglioria ed ereditaria in base ad un atto del 1848-1855 deliberato dall’autorità comunale del tempo ed autorizzato dall’i.r. Capitano Distrettuale che rappresentava allora l’autorità dello Stato.”


Era la piana dove ci sono gli attuali “Greggi”. Ora Idroland

L’etimologia di Baitoni deriva da “BAITA”. Si pensa che alcuni abitanti di Bondone scendendo in basso a dissodare i campi abbiano costruito all’inizio dei ricoveri piuttosto precari, per riporre gli attrezzi da lavoro o rifugiarsi dalle intemperie. Fu verso il 1830 che iniziarono la costruzione delle prime case. Non essendoci documenti questo si presume andando a leggere la data sul portale della casa dei “Cadec” dove c’è la piazza con la fontana (le plane). Sul frontespizio si legge 1841 e al “Fratì” sul portale della casa dove abitava Salvatore Salvotelli assieme alle iniziali F.C. si legge la data 1873. In un documento parrocchiale, sul libro dei battezzati, in riferimento al bambino Mansueto Zuccati, nato nel 1871 si legge: “nato ai Baitoni”.

Nel corso dei decenni Baitoni, piano piano, andò ingrandendosi e le prime case sotto le “Laf” e sotto i “Dosèi” si allungarono verso la piana e i suoi abitanti si dedicarono all’agricoltura, diventando anche piccoli allevatori di bestiame: nacque così il soprannome “Brostolì” per quelli di Bondone presi in giro ironicamente perché bruciavano il Poiat e “Gabì” per quelli di Baitoni, che dovevano pagare l’erba al Comune.

La risorsa più importante a quei tempi era l’allevamento del bestiame. Permetteva ai contadini di Baitoni un sostentamento appena sufficiente per le famiglie sempre numerose. Per far fronte ai pagamenti della tassa sul bestiame, delle “stevre” (imposta sui terreni) e del debito di malga, rappresentato dal costo del casaro e dei malgari e dal canone d’affitto della malga e del pascolo comunale, diversi contadini dovevano allevare un vitello che acquistato in primavera ad un certo prezzo veniva venduto in autunno. Negli anni di crisi antecedenti e durante la seconda guerra mondiale è successo più di una volta che la bestia acquistata in primavera a 50 doveva essere venduta in autunno, a causa della crisi del mercato, a 40 o 45, così, dopo averla mantenuta per diversi mesi in stalla, si avevano i danni e anche le beffe.

Con l’aumentare delle mucche è sorto il caseificio “Casèl” di Baitoni, nei locali siti in piazza al piano interrato dell’allora edificio adibito a Scuole Elementari. Esso era costituito da tre locali: lavorazione del latte, silter del latte e silter del formaggio. Il latte veniva conferito due volte al giorno dalle ore 5 alle 6 sia il mattino che il pomeriggio; il casaro provvedeva a pesarlo e ad annotarne la quantità sul registro, mentre l’allevatore a cui toccava il turno provvedeva a portarlo nel silter del latte e colarlo nelle apposite bacinelle.

Il turno veniva stabilito dal casaro in rapporto alla quantità del latte conferito dal singolo allevatore ed il totale raccolto. Per la cagliata ognuno portava la legna necessaria per scaldare il latte nella caldera grande e nella piccola l’acqua necessaria per la pulizia degli attrezzi e contenitori per la lavorazione del latte. Il burro veniva asportato appena confezionato, mentre il formaggio era trattenuto nel caseificio per la lavorazione e salatura, veniva asportato dal proprietario quando le “scalere” del relativo locale venivano a risultare incapienti. Il “casel” di norma funzionava da dicembre a maggio.

Dai primi di giugno fino ai primi di settembre, le mucche venivano mandate all’alpeggio “en mut” a Malga Alpo, permettendo così ai contadini di esercitare con più libertà i lavori campestri: fienagione nella piana di Baitoni, a mezza località ai Casali e alta montagna, località Crostoi, Cavalere e Alpo. Il fieno era molto prezioso, in confronto di ora che non sfalcia nessuno più e i boschi a Bondone lambiscono il paese. I “segaur,” gli sfalciatori, con la “ranza”, la falce, cominciavano alle prime luci dell'alba a tagliare l'erba nei prati. Ore e ore sotto il sole, prestando attenzione a non invadere minimamente con lo sfalcio il prato del confinante: erano pesanti rimbrotti. Nella piana di Baitoni si tagliava il fieno tre volte: “el fè, el cort e el bescort”, cioè il primo  fieno, il secondo, e anche il terzo. In altura a Bondone due volte e in alta montagna una volta.

Il fieno ai Casali veniva ricoverato nei fienili, quello delle località più in alto veniva trasportato con le “trose”, con le slitte, ancora in giornata sempre ai Casali. Le famiglie dopo aver tagliato il fieno nella piana di Baitoni, a fine luglio si spostavano ai Casali e rimanevano per una ventina di giorni, fino a quando erano terminati gli sfalci del fieno nelle varie località. I proprietari dei fienili erano diversi e a mezzogiorno si faceva a turno a “trisare” a mescolare la polenta sul fuoco nel piccolo “cosenì”, nella angusta cucina. Per dormire tutti sul fieno in solaio, avvolti nelle “base”, nei pezzi di pezza grezza che serviva per contenere il fieno.

Quando a metà settembre si smalgava e le mucche venivano riconsegnate ai proprietari, molti di essi non scendevano a valle a Baitoni, ma si fermavano ai fienili dell'Alpo e dei Casali a far brucare agli animali l'ultima erba rimasta sui prati, così si aveva più scorta di fieno a Baitoni per l'inverno.

All'inizio dell'inverno con le “trose”, le slitte, il fieno, ricoverato durante l'estate nei fienili,  messo nei “retei”, in sacchi di spago intrecciato, veniva trasportato dai giovani dai Casali a Baitoni. Sosta obbligata a Bondone per fare qualche partita alla “mora” e uscendo dal bar ad ora tarda, non trovavano più il mezzo di trasporto. I ragazzi di Bondone si divertivano a trainarle per la “viò da mut”, per la mulattiera, quasi fino a Baitoni... una fortuna per chi era un po’ brillo, scendendo a piedi avevano il tempo di farsi passare “el balordù”, la sbornia.

Le coltivazioni varie occupavano a tempo pieno, in modo particolare le donne; il lavoro era tutto manuale: vangare, seminare, zappare, serchiare (colmare i solchi delle patate e del granturco), rastrellare, portare a spalle le base di fieno in pianura e nei prati montani, raccogliere il frumento e il granturco, cavare le patate. Tante anche le piante da frutto che davano ciliegie, pesche, fichi, mele, pere, noci, eccezionali senza alcun trattamento. La coltivazione dell’uva americana (fraga) e del clinto permetteva a molti contadini di pigiare in autunno l’uva, ottenendo un vino non certo “doc”  come gli attuali nostri vini trentini, ma comunque bevibile dopo un travaso o due. In estate veniva portato dalle mogli agli sfalciatori, con aggiunta di acqua il cosiddetto “aquarol” per dissetarsi.

Per la gestione della malga venivano incaricati a turno due allevatori chiamati “macher”, i quali “cordavano”, cioè facevano un contratto verbale di lavoro per il periodo della monticazione; il casaro “casèr” che andava in malga d’estate solitamente era quello che aveva fatto funzionale il “casèl” durante l’inverno, mentre i malgari se non venivano trovati in paese, si cercavano nei paesi vicini o in Valvestino e Magasa.

Pietro Ferrari e l'allora giovane Stefano Salvotelli ricordano le estati passate in moticazione a Malga Alpo: “no ghero mio da dormì”, la sveglia era alle quattro di mattina.

In inverno dopo aver accudito le bestie, si poteva passare qualche ora anche al bar dal “Pulvio” vicino alla piazza delle “Plane”, dove c'era la fontana per prendere l'acqua e dissetare le bestie, o dai “Casole” o al “dopo lavoro” da Aurelio Mantovani. Per un certo periodo nella cantina della casa del “balilla” era stato aperto un altro bar.

I ragazzi e le donne nelle stalle a far “filò” a raccontarsela al calduccio. Niente televisioni o altri passatempi. Per i giovani qualche serata di svago arriverà, quando Pietro Salvotelli “bresa” aprirà la balera prima al “flaus” e poi ai “crosai” in paese. I parroci di allora erano continuamente sul piede di guerra, non volevano che specialmente che le giovani andassero a ballare: si racconta che qualche parroco negasse l'assoluzione, e pensare che negli anni 60 durante la processione della Madonna del Rosario, causa un forte acquazzone la statua della Madonna fu messa al riparo sotto la tettoia della balera all'inizio paese ai “Crosai”.

I negozi di alimentari erano due: dai “Casole e dal Tenente”. C'era il panificio del “Martì Polme” gestito per un periodo dal figlio Antonio e poi dalla famiglia del fratello Guerrino.

Alla piazza delle Plane, nel periodo primavera-estate, il “cavrer”, il capraio, di buon mattino, chiamava a raccolta le capre, allora numerose, per portarle a “nafò”, al pascolo, a brucare l’erba e i boschi sopra il paese. Alla sera venivano riconsegnate ai proprietari, ma tante conoscevano la strada e andavano nella stalla da sole.

Verso la fine degli anni 50, diversi giovani, stufi del lavoro di contadino, che comportava tanto lavoro e niente guadagni, nella prospettiva di formarsi una famiglia, emigravano: i più tanti in Svizzera. Erano numerosi, tanto che quando tornavano per le feste natalizie, si organizzava la festa dell'emigrante, dove venivano invitate come ospiti “le matele”, le giovani dei due paesi, da quegli incontri sono nate delle amicizie, sfociate nel matrimonio.

Poi sono arrivati gli anni 70, il boom economico: Baitoni come tanti paesi della valle, s’è riconvertito con i nuovi lavori offerti dalle tante ditte che cercavano manodopera.

Andando a riprendere alcuni versi della poesia del sottofirmato letta in occasione della presentazione della commedia “GABI 'EN MOLGO”, ecco “Baitù... Baitù”.

“Verso il 1800, alcuni di Bondone che soffrivano l'altezza... hanno detto proviamo ad andar nella piana di sotto, dove ci sta ancora la “caresa” le canne del lago. Piano piano hanno costruito “EL RUCH” sotto le rocce delle “LAF” con una piccola chisetta. Poi hanno fatto le case al “FRATI'” sotto il Dosel. Con gli anni hanno bonificato le campagne e sono diventati contadini. Il paese ai nostri giorni si è ingrandito molto “però... credem a me, el pais de aluro con chele quoter cò soto le Laf e soto el Dosel... l'era a mò el po bel”.

Gianpaolo Capelli


In foto:
1 Anni 50 piazza delle Plane con la gente seduta davanti allo scomparso monumento a Vittorio Emanuele (foto archivio Paolo Capelli)
2 Anni 60 i numerosi scolari di allora davanti alla scuola con il parroco don Mansueto (foto di don Bolognani)
3 la piazza delle Plane con sulla destra la casa dei "Cadec", una delle prime a Baitoni; il portale porta la data del 1841 (Foto Capelli)
4 Baitoni e la sua piana visti dal castello San Giovanni (foto Comune di Bondone)





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