08 Maggio 2019, 07.21
Valsabbia
Lettere

A proposito di elezioni: cosa desideriamo conservare?

di Alberto Garzoni

Egregio Direttore, vorrei chiederLe ospitalità e approfittare del periodo di campagna elettorale...


...per condividere qualche pensiero con gli abitanti della Valle, che le prossime elezioni interpelleranno con due appuntamenti di uguale importanza.  Alcune considerazioni mi hanno spinto a comporre questo semplice appello, che offro senza pretese e con spirito di servizio.

La Valle è il luogo in cui sono cresciuto e in cui desidero stare, indipendentemente dalla lontananza che esperienze passate e progetti in via di sviluppo hanno comportato o potrebbero comportare. Il forte senso di appartenenza, la sensibilità alla vita civica dei nostri paesi e un numero abbastanza ampio di relazioni mi consentono di seguire con una certa vicinanza le dinamiche della politica locale.

Come immaginerà, negli ultimi tempi la mia attenzione è stata stimolata dal rinvigorirsi dei dibattiti che coinvolgono i candidati alle prossime elezioni comunali e che si stanno diffondendo tra i cittadini.
Così, animato dall’interesse dell’elettore comune, ascolto toni e argomenti di alcune discussioni, e noto con un certo rammarico che i programmi e il confronto pubblico per le elezioni comunali si concentrano spesso su questioni di circostanza, legate all’assetto particolare di qualche struttura o servizio.

Nonostante si tratti, per quanto comprendo, di temi legittimi, e conformi a quella cura dell’ordinario che caratterizza le aspirazioni ad amministrare bene, mi pare che dedichiamo a problemi particolari, che si potrebbero risolvere con processi decisionali abbastanza rapidi, sforzi di riflessione e di discussione superiori alla considerazione che quegli stessi problemi meriterebbero.

Questo, mi sembra, non è male di per sé.
Tuttavia, sarebbe spiacevole se le questioni contingenti, che passano presto, scaldassero troppo gli animi e oscurassero altri temi, ben più rilevanti, che riguardano la Valle e i suoi abitanti.

Sarebbe triste, in altre parole, se a forza di pensare (per esempio) alla configurazione dei dossi su qualche strada, alla logistica della raccolta differenziata o alla collocazione di qualche palazzo comunale, si perdessero di vista questioni dall’impatto potenzialmente più profondo sul futuro delle nostre comunità.
Mi sembra che tali questioni, che corrono il rischio di essere trascurate soprattutto mentre si ricerca il consenso dell’elettorato, siano riconducibili a un problema fondamentale: capire che cosa desideriamo conservare, quando, come candidati o come elettori valsabbini, consideriamo i patrimoni che ci è chiesto di amministrare.

Ad esempio, una politica locale lungimirante non dovrebbe trascurare il fatto che i comuni della nostra Valle dispongono di un patrimonio geografico straordinario, per varietà e per valore.
L’elaborazione tecnologica e l’espansione produttiva, che rendono la nostra manodopera e la nostra industria apprezzate nel mondo, non sarebbero state possibili se le risorse del territorio non le avessero favorite.

Allo stesso modo, la qualità della vita che amiamo e difendiamo non sarebbe stata possibile senza i nostri boschi e le nostre montagne. Alla luce di questo, sarebbe paradossale se oggi, per negligenza politica, mettessimo in pericolo quel patrimonio geografico, per difendere il benessere che ci deriva proprio dal territorio e dalle opportunità che esso ha offerto e ancora offre.

Eppure, rilevo con dispiacere una certa lentezza nell’ideare o nel recepire progetti di tutela sistematica del territorio e, soprattutto, di limitazione della sua erosione, attraverso politiche urbanistiche che si fondino sui principi dell’impresa sostenibile e dell’efficienza energetica.

Salvaguardare il nostro paesaggio da una certa ferocia edilizia non significa, però, intendere la tutela ambientale in maniera statica. Piuttosto, quel primo proposito andrebbe accompagnato da un intento di conservazione ambientale proteso al futuro, e ai tratti più specifici della nostra vita sociale – ossia al risveglio delle aree abitative abbandonate.

La crisi demografica italiana
e il concentrarsi della produzione industriale in alcune zone pesano sulla vitalità di alcuni centri, non c’è dubbio. Eppure, altri fattori sembrano offrire speranze e spazi di manovra.
Studi svolti di recente nei paesi del fondovalle hanno dimostrato che la configurazione naturale del territorio consentirebbe un ampio sviluppo di iniziative turistiche sostenibili, di sicuro interesse e redditizie; le esperienze di alcuni comuni, nell’alta Valle o in prossimità del lago di Garda, provano con i fatti quella possibilità.

Similmente, i crescenti stimoli a forme di nuova albergazione o di recupero di centri abitati suggeriscono che tutti i borghi della Valle, anche quelli più piccoli, potrebbero facilmente conoscere una nuova fioritura e aprire orizzonti di bellezza e prosperità sia a chi vi abita sia a chi desidera visitarli, quando si investisse adeguatamente sulla loro rinascita.

Perciò, mi chiedo se non sarebbe opportuno mettere in primo piano la questione di una maggiore vocazione turistica della Valle (da abbinare alle misure di conservazione del territorio), irrobustire ulteriormente l’accesso alle risorse tecnologiche che consentono di essere economicamente competitivi anche da luoghi isolati, promuovere incentivi sia per il ripopolamento dei paesi e delle frazioni più a rischio di spopolamento sia per la natalità al loro interno.

A questo proposito, mi permetto di osservare che ha poco senso temere l’immigrazione dal mare, se noi stessi abbandoniamo alla decadenza i luoghi delle nostre origini. Non conservare i paesi, anche i più remoti, significa abbandonare la civiltà che essi custodiscono, ed esporla a un degrado potenzialmente irreversibile.
Non abitare i paesi, anche se piccoli, così come trascurarne o non favorirne l’abitabilità, attraverso politiche adeguate, sul lungo periodo può significare promuovere la ghettizzazione delle minoranze etniche, e in ogni caso incentivare modelli sociali squilibrati.

Come pensare, infatti, che il fenomeno pressoché inevitabile dell’immigrazione non trovi uno sfogo spontaneo, e magari poco ordinato, in quei centri che noi stessi avremo abbandonato, se la perdita di valore immobiliare lo favorirà, e soprattutto se noi non saremo presenti in quegli stessi luoghi, fisicamente e con l’azione politica, per trasmettere l’identità valsabbina e garantire un’integrazione adeguata, rispettosa della storia e dei costumi della nostra gente, ai nuovi venuti?
Chi saranno e come vivranno gli abitanti delle nostre contrade più piccole o isolate tra trent’anni? Non è presto per riflettere.

Questo problema si intreccia a un’ultima questione che ritengo fondamentale – ovvero le politiche di conservazione del patrimonio culturale della Valle, inteso in senso stretto. In anni recenti, degni studiosi locali hanno lavorato con passione per esaltare la ricchezza delle nostre produzioni culturali, ribadendo che le nostre radici e aspettative culturali possono esprimersi meglio che nelle forme di intrattenimento teatrale, fieristico o stagionale, pure apprezzabili, che spesso ci vengono proposte.

Eppure, mi chiedo quante e quali iniziative di politica locale abbiano agevolato nuovi contatti, simili a quelli di cui il nostro passato è carico, con i movimenti artistici e le eccellenze accademiche dei grandi centri, o la pubblica e sistematica messa in risalto dell’arte, della lingua e della storia locali, oltre che delle nostre eccellenze produttive.

Mi domando quanto trascurata sia l’idea che la cultura, soprattutto nel contesto italiano, è generatrice sicura di ricchezza; mi domando quanto vengano coltivate la formazione degli adulti e l’elaborazione tra i cittadini di una cultura politica adeguata alle sfide del nostro tempo.
Infine, mi interrogo sulla necessità e l’urgenza di riscoprire il legame imprescindibile tra la civiltà cristiana, che ha reso le acquisizioni della civiltà europea uniche nella storia dell’uomo, e la configurazione delle nostre attività culturali, anche le più circoscritte.

Questo interrogativo è (o dovrebbe essere) tanto più incalzante per quegli amministratori o aspiranti tali che si riconoscono, ammirevolmente e perlopiù in buona fede, nel connubio tra attivismo civile e identità cristiana che ha così profondamente caratterizzato la vita sociale della Valle.

Nel segnalare queste questioni, sono consapevole che alcune amministrazioni comunali della Valle hanno già intrapreso, almeno in parte, dei progetti per affrontare i loro risvolti più immediati; so anche che, in generale, le risorse impiegabili non sono molte.
Allo stesso modo, riscontro che diversi cittadini e anche alcuni candidati, di diversi orientamenti ma di pari valore, conoscono l’urgenza di simili problemi, sono sensibili al loro impatto sulla politica locale e intendono occuparsene per accrescere il benessere delle proprie comunità.

Tuttavia, mi piace pensare che
si potrebbe progettare e fare di più e di meglio, senza limitarsi a dei timidi tentativi o rifugiarsi nell’idea che occuparsi di questi problemi sia astratto. Da parte mia, spero che offrire un contributo e uno stimolo in questa direzione non sia un esercizio inutile di partecipazione civica, mentre si avvicina il tempo delle scelte.

Mi sembra, infatti, che le questioni che ho cercato di segnalare si riconducano con speciale immediatezza ad altri interrogativi, ancora più fondamentali: che persone vogliamo essere, quali modelli e valori di vita sociale desideriamo interpretare, come immaginiamo i nostri paesi e, nel complesso, la nostra Valle non solo per oggi, ma per i decenni a venire. Queste, ritengo, sono le istanze basilari di una politica saggia e consapevole, e dovremmo guardarci bene dal trascurarle.

La nostra attenzione al dibattito pubblico, soprattutto adesso, mentre è ravvivata dall’imminenza delle elezioni, potrebbe fare di esse un criterio per scegliere come votare e, soprattutto, il nostro oggetto principale di interesse – anziché disperdersi «con troppe parole in un viavai frenetico, […] nel quotidiano gioco balordo degli incontri e degli inviti», come scriveva il poeta.

Alberto Garzoni



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