Comuni: videosorvegliati e più sicuri?

Ormai da alcuni anni molti, sul cartello d’ingresso di molti centri, accanto al nome della località, campeggia la dicitura “comune videosorvegliato” spesso associata all’immagine di una telecamera. Si tratta di uno dei più appariscenti e forse banali tentativi di soddisfare una domanda di sicurezza sempre più diffusa tra i cittadini.

La presenza di un sistema di videosorveglianza diviene spesso la prima caratteristica che viene comunicata da un territorio ad un ignaro visitatore, un turista o un passante che si trovi da lì a transitare.

Fino agli inizi degli anni 2000 le telecamere erano dispositivi utilizzati in prevalenza nel settore privato. Si stima che fino agli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001 soltanto 25 città americane fossero dotate di sistemi di videosorveglianza per controllare gli spazi pubblici. Dopo l’11 settembre le telecamere sono diventate uno dei mezzi più diffusi e utilizzati nel tentativo di prevenire eventuali altri attentati ma anche specifici reati comuni.

Da quel momento, a livello globale, si è assistito alla proliferazione di telecamere, tanto da ritenere la videosorveglianza una prassi sempre più indispensabile per garantire la sicurezza. In questo modo, dai primi anni 2000, le telecamere hanno iniziato ad essere introdotte prima nelle grandi città (Milano, Roma, Napoli) per poi essere adottate anche dagli amministratori dai medi e piccoli centri.

Tuttavia, alla luce dei dati disponibili, è convinzione di molti osservatori che l’ostentazione della presenza di telecamere faccia parte di un più ampio tentativo di costruire un sistema di pensiero collettivo incentrato sulla paura e sulla sua gestione. Del resto  la paura, soprattutto della diversità etnica e culturale, è onnipresente a livello mediatico, è sempre più strumentalizzata dalla politica ed è un elemento decisivo nella costruzione del consenso sociale.

Viene da chiedersi che cosa implichi l’erigere la paura a unico criterio per interpretare la società odierna. Una delle implicazioni sembra essere il riemergere di contrapposizioni laceranti come noi/loro, amico/nemico, fiducia/sfiducia, inclusione/esclusione. Di fronte alla paura, sembrano sparire dalla scena pubblica e dal dibattito collettivo, altre diversità e altre contrapposizioni.

Inoltre, contrastare la paura tramite la videosorveglianza porta facilmente ad esaltare in maniera spropositata l’effettiva capacità della tecnologia di generare sicurezza. La videosorveglianza diviene spesso un palliativo e un paravento che distrae e fornisce facili argomenti propagandistici dimenticando che la sicurezza deve essere costruita agendo sulle cause più profonde che alimentano il disagio e i comportamenti antisociali.