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domenica, 21 luglio 2024 Aggiornato alle 07:56Blog - Genitori e Figli

Il papà e la forza della paternità

di Giuseppe Maiolo

Era una canzoncina di Gianni Morandi quella dal titolo “Sei forte papà” e pareva una celebrazione della paternità positiva. 

Orecchiabile, capace di metteva buon umore, alla fine però era un inno alla concessione, dove la forza della paternità stava nell’accontentare i figli

 

 

Quel gufo con gli occhiali che sguardo che ha/ Lo prendi papà? (Sì!) /La lepre in tuta rossa che corse che fa! /La prendi papà? (Sì!). 

 

Solo qualche strofa e capiamo che gli apprezzamenti dei bambini sono per la disponibilità paterna ad accogliere e per il piacere delle gratificazioni. 

Uno che accontenta e concede è di sicuro amabile, ma le funzioni della paternità sono anche altre. 

 

Comprendono le frustrazioni e la possibilità che un padre le faccia sperimentare ai figli durante la loro crescita. 

Spesso nascono da quel saper mettere confini che è uno specifico della paternità, quel dare senso e valore al limite in quanto linea che segna un percorso, ma è pure l’accettazione della trasgressione come violazione delle regole. 

Compito paterno per nulla semplice soprattutto quando i figli iniziano a fare a braccio di ferro con gli adulti.

 

Ecco questo è proprio un gioco per preparare i figli alla vita e non per sottolineare com’è bello vincere ovunque o essere schiaccianti con l’avversario, ma per allenarli a resistere. 

Con i piccoli il “braccio di ferro” è divertente se in palio c’è il tempo che serve per sostenere uno sforzo fisico e mentale. 

 

Con i più grandi, con i preadolescenti e gli adolescenti, potrebbe essere invece un esercizio con cui si apprendono le strategie per tenere duro e battersi per una giusta causa ma soprattutto per alimentare la perseveranza, che è la forza per non abbandonare l’obiettivo quando non si ottengono successi immediati o se si cade. 

In altre parole i compiti paterni sono molto impegnativi soprattutto con i figli grandi. Servono per educare alla negoziazione e alla capacità di mediare.  

 

E allora essere padre, più che fare il padre, significa meritarselo. 

Un titolo, diceva Dostoevskij (I fratelli Karamazov – Feltrinelli) che un genitore deve guadagnarsi sul campo, perché non si eredita. 

Un padre che soccorre è quello che rialza il figlio se inciampa, che non premia il fallimento ma sprona il fallito ad accettare la sconfitta. 

 

La sua funzione non è quella di un amico ma di un compagno di viaggio che sta a fianco e controlla e alla fine presenta il conto: lascia sbagliare e ammette la possibilità di recupero, concede fiducia e sa aspettare.

 È il padre che aiuta il figlio a separarsi dalla madre e dal suo amore come dono gratuito e inserisce l’idea che l’amore del padre invece bisogna guadagnarselo. Ma è funzione del padre quella di sostenere la madre perché lasci camminare il figlio sulle sue gambe.  

 

Il padre è tenacia e resistenza necessarie per attraversare il guado che separa l’infanzia dall’età adulta.

È lui il Caronte che, come figura mitica, traghetta gli umani da una sponda all’altra e li sostiene nel nuovo viaggio. La sua forza generativa sta nello spronare il movimento e saper attendere, nel saper parlare poco e ascoltare molto.

 

Giuseppe Maiolo

psicoanalista

 


 

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