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lunedì, 15 gennaio 2024 Aggiornato alle 08:00Blog - Genitori e figli

I social, demoni o strumenti per chi educa?

di Giuseppe Maiolo
I social media, come dice la parola, sono strumenti per la socialità pensati per tutti. Ma spesso l’utilizzo che ne fanno le nuove generazioni, viene vissuto dagli adulti in maniera conflittuale.

Un disagio acuto emerge ogni qualvolta accadono eventi gravi in cui sono protagonisti i giovani e dove i social sono accusati di catturare i minori colpevoli di promuovere attività che mettono a repentaglio la sicurezza dei minori.

A dire il vero, il pericolo proviene dall’uso dei social media che spesso è senza il controllo adulto e dalla frequenza di connessione elevata e intensa, spesso davvero eccessiva.

Sappiamo però che essi soddisfano i bisogni della generazione alpha, i nati dal 2010, in quanto spazi sociali e luoghi di incontro virtuale che oggi servono per costruire relazioni private e affettive ma anche avviare relazioni professionali.

Alcuni studi sulla Condizione giovanile (Rapporto giovani, Istituto Toniolo e Università Cattolica insieme a “Parole O_stili) ci dicono, ad esempio, che il 59,1% ritiene utili i social per le informazioni e i contatti che riguardano il mondo del lavoro un 41,4% che dichiara di essersi imbattuti almeno una volta in una concreta opportunità di lavoro.

Allora i social, che costituiscono il cuore delle tecnologie digitali, dovrebbero trovare più attenzione da parte di chi educa. Il che non significa approvarne l’uso senza regole e limiti e nemmeno rinunciare a segnalare le responsabilità di chi amministra le piattaforme. Significa però riconoscere le modificazioni avvenute nella società e le nuove forme di comunicazione, perché come diceva Zygmunt Bauman, già la “generazione z” non conosceva altra vita se non quella interconnessa, nata “in un mondo intessuto da connettività cablata, con fili o senza”.

Forse aiuterebbe sapere che ai nuovi nati, i social servono per diverse ragioni a partire dalla possibilità di mostrare le conoscenze raggiunte e provare le proprie competenze oltre a sperimentare le relazioni anche quelle affettive.

Il problema non è tanto quello di assolvere o condannare i social che pure hanno le loro responsabilità, ma accettare il fatto che è l’uso che deve esser controllato dagli adulti. I social sono spazi comunitari virtuali ampiamente condivisi tra i minori (e non solo) che entusiasmano per la loro architettura la quale stimola le motivazioni e l’interesse collettivo al punto tale che tutti li percepiscono come strumenti in grado di promuovere l’uguaglianza e come ambienti in cui ciascuno può creare i propri contenuti, dare spazio alla propria originalità e fruire della creatività degli altri.

Significa allora trovare da parte degli adulti di riferimento valenze nuove e diverse necessarie oggi per educare alla digitalità. Soprattutto c’è bisogno di consapevolezza dell’utilità di una media education precoce oggi da integrare all’educativa tradizionale. Questo lo esigono i tempi, ma servono educatori competenti e autorevoli, capaci di dare indicazioni sull’utilizzo e sui pericoli che la tecnologia contiene, in quanto non è neutra.

Urge allora formare adulti in grado di aiutare i giovani a non restare solo “consumatori” ma a diventare “prosumer” cioè protagonisti e produttori di strumenti e servizi di conoscenza.

Giuseppe Maiolo
psicoanalista
Università di Trento
Docente di psicologia delle età della vita
www.iovivobene.it

 

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