Piani di Zona per un Welfare collaborativo
Sono in fase d’approvazione i Piani di Zona per il triennio 2025-2027. Strumenti utili per monitorare e gestire i bisogni del territorio.
In queste ultime settimane dell’anno gli Ambiti sociali che fanno capo alle Agenzie di Tutela della Salute (Ats) della Lombardia sono chiamati ad approvare, nelle rispettive assemblee dei sindaci, i Piani di Zona per il triennio 2025-2027.
Anche i 12 ambiti dell’Ats di Brescia (tra i quali l’Ambito 12 di Valle Sabbia) sono interessati da questo importante appuntamento che cade in una fase di riorganizzazione del welfare locale a seguito dell’attuazione di alcuni processi di riforma (ad esempio la nuova legge regionale sulla sanità n. 22 del 2021) che sono destinati a trasformare l’assetto dei servizi alla persona.
Ancora oggi il Piano di zona è uno strumento di programmazione sociale che incarna le forti istanze territorialiste alla base della legge quadro 328 del 2000 che col tempo sono state smorzate dai tagli alla spesa sociale nazionale e locale e dal ridimensionamento del welfare.
Il Consiglio nazionale per l’economia e il lavoro (CNEL) attesta che per i servizi sociali territoriali i comuni italiani (singoli o associati) spendono quasi 8 miliardi di euro (al netto della compartecipazione degli utenti e del SSN) ovvero circa lo 0,5 per cento del PIL, una quota sensibilmente inferiore alla media dei principali paesi dell’Unione europea (2 per cento). In ogni caso risale all’inizio degli anni Duemila l’affermazione di una nuova prospettiva in tema di programmazione dei servizi alla persona che si proponeva di rispondere ai bisogni sociali secondo una logica inter-comunale (gestione associata dei servizi), di sussidiarietà e di prossimità.
In questi 25 anni, la costruzione e l’attuazione dei Piano di zona è stata molto variegata, come del resto eterogenei sono i diversi ambiti di riferimento.
Nel prossimo triennio una delle sfide principali sarà la ricerca di un equilibrio tra il riconoscimento dei bisogni e la valorizzazione delle risorse presenti al livello locale. Sarà altresì importante il compito di garantire i livelli essenziali delle prestazioni sociali per poter assicurare analoghi diritti sociali nei territori contrastando l’accrescersi dei fenomeni di diseguaglianza.
Inoltre, i nuovi Piani di zona dovranno contribuire all’obiettivo di rafforzare l’integrazione delle funzioni sociali con quelle sanitarie e sociosanitarie distrettuali di competenza delle ASST. Il rischio di interventi e servizi poco coordinati è sempre presente a fronte di problematiche complesse che richiedono approcci integrati.
Le vicende degli ultimi anni mostrano come l’innovazione del welfare richieda una programmazione sociale territoriale basata su una nuova governance capace di coinvolgere i vari soggetti locali, in primo luogo gli enti di Terzo settore, che non sono più semplici erogatori di servizi ma compartecipano attivamente alla gestione, al monitoraggio e alla valutazione del welfare locale.
Alcuni passi in questa direzione sono stati favoriti dalla diffusione di esperienze di amministrazione condivisa (co-progettazione e co-programmazione) che hanno riformulato i rapporti tra pubblico e privato sociale ma uno stimolo è arrivato anche dal nuovo quadro rappresentato dal Codice del Terzo Settore.
Allo stato attuale, è molto avvertita l’esigenza della messa a sistema di un welfare locale collaborativo che riesca, pur nelle difficoltà finanziarie e organizzative, a co-programmare delle strategie capaci di presidiare settori e problematiche (ad esempio povertà, housing, disagio, non autosufficienza) che rischierebbero di essere abbandonate a loro stesse.
In questa fase di transizione lo strumento del Piano di zona e lo stesso iter partecipativo previsto per la sua redazione, possono fornire un contributo importante nel riaggregare e nel ricomporre enti, soggetti, risorse, servizi e competenze contro il rischio della frammentazione.