La filosofia nasce grande con Anassimandro 1.4
Per la prima volta nella storia dell'uomo, la filosofia, e sin dal suo inizio, pensa la contrapposizione infinita tra ciò che è (l'ente) e il niente (il nulla, il non essere).
Pensa il niente e lo pensa come lontananza infinita dall'ente, come privazione assoluta, totale mancanza di essere.
Prima della filosofia, le parole "ente" ("essente") e "niente" non hanno questo significato radicale: il "non essere" è inteso come una privazione relativa di essere.
Prima della filosofia il "non essere" è pur sempre un qualcosa che manca, è privo di qualcos'altro.
La filosofia, invece, e per la prima volta, pensa il "non essere" come assoluta mancanza di ogni qualcosa e di qualsiasi forma di positività. Il niente sta al di là degli estremi confini del Tutto nel senso che al di là di tali confini non vi è niente.
Il Tutto è la totalità dell'ente.
È appunto a questo significato radicale del "niente" che i primi filosofi si rivolgono, quando affermano che dal niente non si genera niente - ex nihilo nihil fit -, traducono i latini.
Il niente è assoluta privazione di ente, e quindi non può generare l'ente.
Gli enti del mondo sono generati da quell'Ente supremo che è l'arché — e in esso, corrompendosi, ritornano.
L'arché «si conserva sempre», l'arché «è sempre salvo».
Sempre salvo dal niente.
Nascita e morte riguardano le cose del mondo, cioè gli enti divenienti: uomini, animali, piante, città e mondi.
La nascita e la morte è, per essi, il provenire e il ritornare nell'arché.
In questo senso, per i primi filosofi, non vi è nulla che si generi e che perisca del tutto: appunto perché l'arché è ciò che avvolge e costituisce tutte le cose divenienti, è il loro "principio" e il loro "elemento" (la loro sostanza, visto che "sostanza" significa "ciò che sta sotto" e "sorregge").
In qualche modo la salvezza dell'arché — la salvezza dal niente — è la salvezza di tutte le cose.