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giovedì, 17 aprile 2014 Aggiornato alle 07:14Una valsabbina a Londra

La Stele di Rosetta

di Lara Bettinzoli
L’elemento chiave nella storia che ha permesso di decodificare i geroglifici e fatto rivivere le testimonianze lasciate dagli antichi egizi è la Stele di Rosetta conservata al British Museum di Londra dal 1802

Per chi non ne conosce la storia, questa Stele può sembrare una delle tante pietre in granito o basalto nero ritrovate durante le spedizioni archeologiche in Egitto.
Invece, il suo ruolo nella storia e’ di grande rilievo, perche’ rappresenta la chiave che ha permesso di decodificare i geroglifici.

La lastra, che risale al 196 a.C., riporta un’iscrizione in due lingue - egiziano e greco - ma in tre diverse grafie: nella parte superiore 14 righe in geroglifico (la prima scrittura usata in Egitto), 22 righe in egiziano demotico nella parte centrale (una grafia corsiva piu’ tarda) e 54 righe in grafia minuscola greca (lingua usata per l’amministrazione) nella parte piu’ bassa.

Il testo riportato nelle tre grafie e’ lo stesso e grazie al confronto con la trascrizione in greco, che era una lingua già conosciuta, lo studioso francese Jean-François Champollion, nel 1822, decifrando i nomi di Tolomeo e di Cleopatra riuscì ad interpretare i geroglifici incisi sulla pietra e quindi a leggere e capire il significato del testo.

Fino alla scoperta della pietra, tutti i tentativi di scoprire i segreti degli antichi geroglifici egiziani trovati sulle pareti delle tombe erano falliti.
Si riteneva erroneamente che le pitture e le incisioni fossero solo simboliche, ognuna rappresentando un’oggetto o un’idea.
La Stele di Rosetta venne scoperta dall’esercito napoleonico nel 1799, durante i lavori di scavo per la costruzione delle fondamenta per l’estensione di un forte nei pressi della cittadina di el-Rashid (Rosetta), sul delta occidentale del Nilo.

Alla sconfitta di Napoleone, la pietra venne ceduta all’Inghilterra con il trattato di Alessandria del 1801 e l’anno successivo trasportata al British Museum, dove e’ stata studiata per decenni dai crittologi.
Una copia fedele della Stele si trova murata nella grande sala del pianterreno del Museo Egizio del Cairo, mentre l’originale è tuttora in possesso del British Museum, a dispetto delle reiterate richieste di restituzione da parte delle autorità egiziane di competenza.

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Contenuto del testo
Si tratta di un decreto emesso nel 196 a.C. in onore del faraone Tolomeo V Epifane (a quel tempo tredicenne) in occasione del primo anniversario della sua incoronazione.
Il testo riporta tutti i benefici resi al paese dal re, le tasse da lui abrogate, la concessione di un’amnistia, l’aumento degli introiti ai sacerdoti, i quali, in segno di ringraziamento, fecero portare in ogni tempio una statua di Tolomeo  e indirono festeggiamenti in suo onore.
Stabilisce, inoltre, che il decreto sia pubblicato nella scrittura delle parole degli dei (geroglifici), nella scrittura del popolo (demotico) e in greco.

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La scrittura geroglifica
La storia dei geroglifici era finita gia’ nel quarto secolo dopo Cristo, cancellata dalla diffusione del Cristianesimo in territorio egiziano, poiche’ quelle scritte sacre rappresentavano il legame ancora vivo con gli dei pagani del passato.
La conoscenza di quei simboli rimase viva ancora per qualche tempo, ma prima il copta (una lingua a cavallo tra il greco e il demotico) e poi l’arabo la distrussero completamente, cancellandone non solo la memoria ma anche le testimonianze in alcuni templi e nei palazzi.

Oggigiorno si sa che la scrittura geroglifica si componeva di segni iconici, alcuni dei quali facilmente identificabili (l’avvoltoio, la civetta, il toro, il serpente, l’occhio, il piede, l’uomo seduto con una coppa in mano), altri gia’ stilizzati (come la vela distesa, la forma a mandorla della bocca, la linea seghettata che indica l’acqua), altri ancora legati ad una interpretazione simbolica (come il termine parole, rappresentato da bastoni nei quali si puo’ trovare un appoggio per attraversare questa vita, utili per difendersi, ma anche pericolosi o mortali se usati in malo modo).

Queste stesse immagini potevano essere usate anche come semplici segni fonetici, ad esempio per rappresentare una cosa il cui nome iniziava con un certo suono si usava l’immagine di un oggetto il cui nome aveva la stessa iniziale.

Due sono i tipi di segni fondamentali nelle iscrizioni egizie: ideogrammi e fonogrammi.
Il primo indica l’oggetto rappresentato o qualcosa di direttamente associabile, il secondo i suoni, usati per il lavoro fonetico.
Fu Champollion a trascrivere l’alfabeto che pubblico’ nel suo libro “Le Lettre a M. Dacier” ponendo così le basi della scienza dell’Egittologia moderna.