Non banalizzare la banalità!
Non so quanti fra voi lo abbiano ben presente, ma c’è un testo di Hannah Arendt che si intitola “La banalità del male”. Me che significa questo: che il male è banale? Non è questa una stupidaggine? Il male è serio... o no?
La filosofa che fu amante di Heidegger (non bisogna mai dimenticare che anche i filosofi e le filosofe rimangono soggetti alle passioni umane e al gossip ad esse collegato) scrisse questo libro dopo aver seguito in diretta Tv il processo ad Eichmann, gerarca nazista di Hitler.
Solo per ricordare chi era, si tratta di colui che smistava i treni di tutt’Europa verso i campi di sterminio.
La Arendt fu particolarmente colpita dal fatto che, durante il processo, di fronte alle accuse a lui rivolte, Eichmann rispondesse così: “Non sono colpevole. Ho fatto il mio dovere! Sono stato un bravo funzionario. Mi davano ordini e io li eseguivo”.
Ebbene questa logica del “ho fatto il bravo bambino ubbidiente”, non ha convinto l’accusa.
E meno male che non l’ha convinta! Eichmann avrebbe potuto domandarsi se fosse giusto in coscienza ciò che stava facendo, non solo ubbidire ad alcuni ordini. Ovvio, potremmo pensare!
Invece, non è affatto ovvio ed è questo il senso di ciò che Hannah intende quando afferma che il male è banale: esso viene compiuto senza pensarci.
Perché, quando ci si ferma a pensare in coscienza se un’azione vada o meno compiuta, allora si esce dalla banalità per entrare nel territorio della profondità di riflessione, che interpella e interroga rispetto a ciò che si intende compiere.
Quante volte agiamo banalmente, a dirla tutta.
Mi vengono in mente i gruppi dei preadolescenti che compiono atti di bullismo o cyberbullismo senza riflettere, perché è divertente farlo e... si fanno quattro risate.
Penso ai giovani che non riflettono sull’importanza della loro istruzione e si fanno bocciare convinti di aver vinto un bel trofeo in virtù del loro coraggio. Per non dire di molti adulti che rispettano gli ordini dei loro superiori perché non intendono avere problemi nella vita.
E così, molte altre situazioni di vita in cui compiamo banalmente il male senza farci caso. Fino a giungere al limite dell’assurdo come nel caso di Eichmann.
Recentemente, ho constatato un esercizio di banalità maligna in un abuso di potere nei confronti di una studentessa universitaria.
È stata messa in difficoltà da un funzionario ecclesiastico che non le ha permesso di svolgere tirocinio in una determinata scuola perché: “Questa è la mia autorità e si fa come dico io”.
Ecco: questo è un caso preciso di esercizio del male banalmente. Infatti, se questo funzionario si fosse fermato a riflettere sul modo giusto di esercitare la sua funzione, forse avrebbe potuto pensare che andava esercitata a favore di colei a cui era a servizio e non per ostacolarla abusando del suo potere.
In questo caso non ha agito da bravo bimbo ubbidiente, ma da prepotente sicuro di sé, perché “tanto chi mi controlla?”.
Beh, forse, da ecclesiastico, si è dimenticato che il Dio in cui dice di credere non è poi così sbadato come egli suppone. Gli eventi li vede, e li vede bene.
Può darsi abbia banalmente immaginato che essere dalla parte di Dio sia come essere fedele ad un dittatore: “Tanto sono dei suoi e lui è potente”.
Che stoltezza: non sa che il Giudizio di Dio potrebbe essere molto peggio di quello in cui è incappato Eichmann.
Perciò, l’indicazione della Arendt di non banalizzare la banalità del male, ma di prenderla sul serio, pensandoci su bene e con calma, è di fondamentale importanza per essere uomini degni di questo nome.
Infatti, la banalità del male è indice di stupidità. Essa non indica l’ingenuità in buona fede, né quella sana spensieratezza che allieta la vita. Nemmeno è semplice ignoranza, perché colui che si accorge della sua ignoranza può farvi fronte con l’apprendimento. È proprio stupidita, cioè agire senza pensare!
Se immagino le volte in cui sono stato stupido, mi accorgo che non sono quelle in cui ho agito con sbadataggine (e sono tante).
L’essere “storditi” non è essere sciocchi. Non credo si tratti nemmeno e solo di testardaggine.
Da valsabbino quale sono, essere un po’ testone è normale.
Tra l’altro, non sempre lo “zuccone” è banale: quando “si impunta” per buone cause, fa bene. L’essere sciocchi significa, piuttosto, agire convinti di fare del bene solo perché si eseguono ordini di altri.
Questo è proprio agire stupidamente. Al riguardo, ho ricordi vivissimi del nonno che, fin da quando ero piccolo, mi diceva: “Mi raccomando, gnaro, non gettarti in un pozzo solo perché qualcuno ti dice di farlo”.
Una meravigliosa indicazione filosofica, in linea con ciò che ha suggerito Hannah Arendt.
Ora, di fronte alla stupidità umana, si potrebbe pensare, come il saggio Aristofane, che sia insuperabile.
Uno stupido nasce e rimane tale per tutta la vita. In realtà, su questo la pensatrice è più acuta e realistica.
C’è un modo per combattere la stupidità e si chiama Filosofia. Questa è terapia e antidoto all’umana stupidità. Chiunque filosofi, ovvero si conceda del tempo per pensare con calma, piacere e dovizia, non lo fa per annientare la sua ignoranza. Quella è invincibile. L’amante della Sapienza lo sa: dovrà vivere accettando di rimanere per certi versi ignorante.
Ciò che la Filosofia può sconfiggere è la nostra stupidità, cioè la tendenza ad agire senza riflettere.
Da questo punto di vista, il filosofare rende abbastanza anarchici, ovvero propensi ad agire con motivazioni che dipendono solo dall’esercizio della propria libera volontà, non curanti dell’approvazione o dei consigli altrui.
O meglio, decidendosi liberamente a seguire i consigli che si ritengano saggi. L’anarchia, ovvero la cristiana libertà dei figli di Dio, non impedisce di riflettere sui buoni suggerimenti che si ricevono da altri.
Perciò, in definitiva, non lasciamo cadere il suggerimento della Arendt: viviamo gioiosamente, serenamente e pacificamente, ma non da stupidi.
Cerchiamo di non adottare la modalità di giudizio di Eichmann. Viviamo liberi di agire riflettendo su ciò che facciamo: chiediamo scusa quando sbagliamo; lottiamo testardamente per sviluppare un po’ di quel bene di cui siamo certi.
Ma, impariamo a smettere di fare solo quello che ci viene detto da qualcun’altro perché è comodo.
Non si sa mai che la comodità prefiguri la nostra giusta condanna di domani.
Pseudosofos.