Giovedì, 19 settembre 2024


Banner
ValleSabbiaNews logoBanner


 

lunedì, 16 settembre 2024 Aggiornato alle 18:16Lettere

Alpinità e... minoranze 2

di Matteo Rossi

In risposta alla lettera aperta a firma di Valeriano Buffoli, da noi pubblicata lo scorso 10 settembre, il consigliere delegato alla cultura del comune di Vobarno, Matteo Rossi, risponde

 


Gentile sig. Buffoli,
non avendo – e devo dire purtroppo – svolto il servizio militare obbligatorio per la mia giovane età, i Suoi apprezzamenti e, ancor più, le Sue cordiali osservazioni mi giungono quantomai gradite, perché affondano le loro radici in quell’esperienza collettiva, eppur così profondamente personale, che per milioni di italiani è stata la naja. 

Ben lontano dall’essere quella granitica sentinella dei valori alpini, milioni che solo chi ha portato il cappello con la penna può impersonare, sono però contento che il mio piccolo contributo sia stato – seppur non integralmente – apprezzato. 

 

Tanti e tanti sono i valori che dovrebbero aggiungersi al novero di quelli sui quali ci si è voluti soffermare e la Sua lettera ce ne ha ricordati alcuni: solidarietà, amore per la pace, lotta alle ingiustizie e molti altri, che certo ogni vero alpino porta nel proprio cuore e cerca di vivere tutti i giorni nel proprio quotidiano.
 

Il grande anniversario degli ottant’anni dalla Liberazione sarà certamente il momento in cui potremo tornare sul ruolo dei nostri alpini nella Guerra civile e riflettere insieme, come comunità, sull’eredità che dopo otto decenni ci giunge da quell’esperienza dolorosa e divisiva, che coinvolse tante penne nere. 

 

Mi piacerebbe tornare sulla storia del battaglione da cui la sezione di Salò prende il nome e – partendo da alcune riflessioni che ci sono state portate dal dott. Gottardi – ripercorrere i diversi destini dei combattenti del “Monte Suello” dopo l’8 settembre: chi entrò nelle Fiamme Verdi, chi si unì al Regio esercito nel Sud d’Italia, chi entrò nelle fila della R.S.I. 

 

Tutti, egualmente, meritano il nostro interesse, il nostro ricordo e il nostro rispetto. 

Se vogliamo alimentare un dibattito pubblico sulla Storia, che sia fondato su una disciplina scientifica e non su un susseguirsi di narrazioni faziose, dobbiamo dire con Benedetto Croce che la storiografia non può essere mai giustiziera, ma sempre giustificatrice. 

Alimentati dal più bello storicismo, solo allora potremo anche riflettere con coscienza libera sulle parole che in un certo momento storico sono state utilizzate per descrivere i montenegrini che assaltavano la centrale elettrica di Pljevlja, dove era  asserragliato il Pasini. 

 

D’altro canto, quanto bella e cara è stata per i partigiani la parola “ribelle”? 

Il termine, utilizzato per consentire la repressione più dura, fu ben presto risemantizzato e fatto proprio dalla Resistenza, al punto che ancora oggi lo associamo al contesto della Guerra civile con un’accezione positiva e un profondo senso di gratitudine. 

 

Penso che tale sforzo di contestualizzazione debba essere fatto anche nel caso da Lei ricordato, per due motivi: evitare di falsificare una fonte e dunque la Storia, sostituendo parole sgradite con altre più gentili, nonché riflettere sull’irriducibile relatività delle posizioni nella Storia che, con buona pace di tanta narrazione, non si divide fra buoni o cattivi. 

Le azioni degli uomini, prima che giudicate, vanno capite; è un’operazione che prima di essere scientifica, deve essere umana, deve essere la restituzione della dignità a chi non c’è più e non può più difendersi. E torniamo al buon austriaco che ingaggia con il buon alpino una lotta che va al di là della logica amico-nemico.
 

Fin qui la storiografia, ma poi entra in gioco la coscienza civile, che invece ci impone quella dicotomia così estranea alla realtà dei fatti, ma così necessaria per costruire le comunità, le narrazioni, le nazioni. 

Forse bisognerebbe interrogarsi di più su questi processi di Nation-building e sul ruolo che la Storia – necessariamente semplificata e dunque in parte falsificata – ha in essi. 

 

Il monumento ai partigiani è chiaramente uno dei prodotti di tali processi, e lo è in una forma “acuta”, perché esplicitamente fa memoria solamente di una delle almeno cinque parti in gioco nelle vicende che hanno portato alla nascita delle nostre istituzioni democratiche, di cui gli alpini – più volte è stato ricordato – sono tra i difensori. 

Allora, credo che la scelta del comitato organizzativo di sostare i monumenti dei caduti di Degagna e Vobarno, e al monumento dedicato agli alpini caduti di Pompegnino, possa dirsi lodevole, perché ha voluto privilegiare quei luoghi della memoria che associamo al ricordo di tutti i morti, implicitamente anche quelli che alla prova della Storia si sono trovati sconfitti. 

 

Oltre a tornare all’intervento del dott. Gottardi e a Croce, mi viene in mente il monumento ai soldati roveretani deceduti vestendo la divisa imperiale e che ogni anno viene onorato da alpini e kaiserjäger, ma questa è un’altra storia.

Le poche righe che l’attenzione dei lettori più benevoli e la Sua cortese pazienza possono concedermi, senza che io ne abusi, non mi permettono al momento di spingermi più oltre in un discorso che occorrerà certamente riaprire nel 2025 e che quindi rimando a quella data.
 

Sull’assenza dei colleghi eletti in Consiglio comunale con la lista “Pensare Vobarno” (così da rendere espliciti dei termini già abbastanza chiari), posso solo aggiungere che personalmente non ho ricevuto alcun invito, come penso nemmeno Lei e come credo neppure le centinaia di persone che hanno voluto accompagnare gli alpini nella tre giorni vobarnese. 

È questione di scelte, non di polemiche politiche: libertà è partecipazione. 
 

Cordialmente, Matteo Rossi, 

Consigliere delegato alla cultura del comune di Vobarno

 


 

Leggi anche...