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domenica, 2 giugno 2024 Aggiornato alle 09:00Pillole di Psicologia

Male non fare, paura non avere. Ovvero della paura di esistere

di Marzia Sellini

 

di Marzia Sellini

 

 

Introduzione.

In questi nostri tempi, siamo sempre più immessi in flusso continuo di comunicazioni, necessarie alla sopravvivenza degli esseri umani, riceviamo infatti quotidianamente notizie, nozioni ed informazioni, che vengono veicolate attraverso codici e canali diversi, ad esempio il codice verbale (orale e scritto), quello grafico (immagini), musicale, motorio ed anche canali di trasmissione quali il telefono, mediatici come le tv ed i giornali), internet etc.

 

All’interno di questo fiume di parole, immagini, suoni … gli esseri umani sono chiamati a rispondere, scegliere e decidere, quotidianamente, più volte al giorno, poiché tali codici veicolano pensieri. Ebbene se scegliere comporta l’assunzione e l’esposizione a continui rischi, decidere è sempre un azzardo, ma va detto che nessuno, nella società ipermoderna può evitare del tutto certi passaggi esistenziali, dato che esistere vuol dire, “star fuori”, pertanto “essere esposti”, e vivere in società, ovviamente porta a varie esposizioni.  Ora, se non ci si vuol limitare a vivere, per esistere occorre esser consapevoli delle proprie scelte. In effetti, chi non sa assumersi mai dei rischi corre, al tempo stesso, un rischio, quello di rimanere nell’immobilità e di resistere ai normali cambiamenti che la vita comporta.   

 

Approfondendo il tema possiamo dire che scegliere riguarda la preferenza di qualcosa rispetto a qualcos’altro ed anche il prendere qualcosa da qualcos’altro la parte migliore lasciando la peggiore, per esempio, piuttosto che il tagliare da un insieme di appartenenza o da qualcosa di unico. Decidere invece vuol dire risolvere, definire, pronunciando un giudizio, significa anche, seguendo la derivazione etimologica, con il verbo tagliare, separare, talvolta temporaneamente, talaltra stabilmenteImplica quindi il passare all’azione. Pensate alle scelte del percorso di studi, pensate alle scelte lavorative, quelle legate alla famiglia, alla salute, alla morte … 

 

Tale argomento ci porta dritti dritti verso il tema del cambiamento. Poiché decidere ha come conseguenza il cambiamento, di ruolo, status sociale, economico, emotivo, cognitivo, logistico … Pensate al cambiare scuola, città, casa, coniuge, lavoro … E cambiare vuol sempre dire cambiare qualcosa di sé stessi. Che si traduce nel sapersi guardare dentro ed anche fuori. Tutto ciò ha a che vedere dunque anche col grande e secolare tema del destino e la conoscenza di sé.  Sino dall’origine del nostro mondo Occidentale gli esseri umani interrogavano la Pizia al tempio di Apollo a Delphi per conoscere sé stessi, recita l’opera di Porfirio. Oggi quel tempio lo chiamiamo psicoterapia. È infatti nella relazione terapeutica che i soggetti possono imparare e scoprire come sbloccare situazioni stagnanti, sorvolare le paure, boicottare i cortocircuiti di pensiero che mantengono le situazioni in stallo e cambiare strategie di comportamento.

 

Coloro che hanno paura di cambiare manifestano spesso alcuni segni (non sintomi) che esprimono bene questa situazione temporanea o condizione: tempi prolungati nel rispondere, la ricerca continua e costante del supporto altrui, manifestazioni ansiose, panico sino ad arrivare all’angoscia, in attesa di quel che si è fatto. Tristezza infinita, abbassamento del tono dell’umore, prostrazione, con conseguenti limitazioni nell’efficienza ed efficacia professionale e personale. Sul piano cognitivo: dubbi, pensieri ricorrenti. La persona può evitare le situazioni, non si espone in pubblico, si ritira socialmente, controlla ossessivamente dati e informazioni, si sente sul ciglio del baratro, timorosa di cadere nell’abisso, oppure rimanda, procrastina il momento del passaggio, fino ad arrivare a reazioni psicosomatiche e stress

 

Perché avviene tutto questo? In modo sintetico, perché si teme di perdere la propria identità, ovvero la conoscenza pregressa e certa di chi si è stati fino a quel momento. Altre volte, pur avendo compiuto una scelta, aver valutato qual è quella soluzione che porta a miglior giudizio, agiscono contro di essa, già gli stoici definivano tale fenomeno akrasia. Perché? Perché crede alla personalità come ad un monolite, non ha ammesso la molteplicità pirandelliana del sé. 

 

Come prendiamo le decisioni?

Secondo coloro che sostengono la posizione riduzionista della mente, le decisioni sono un mero prodotto del cervello, a comprova di tale assunzione viene riferito di frequente l’esperimento di Benjamin Libet, psicologo e neurofisiologo americano, il quale sembra dimostrare che il cervello decida qualche istante prima che lo faccia la nostra mente cosciente. La conclusione sembrerebbe essere di tipo duramente determinista: è evidente che non c’è libero arbitrio, dato che le nostre scelte vengono compiute dalla macchina cervello senza un nostro intervento decisionale. Se fosse così non si dovrebbe parlare con alcuno per prendere decisioni. L’attivazione sarebbe un semplice atto motorio. In realtà le cose non stanno così, hanno ben argomentato e mostrato alcuni studiosi e ricercatori di questi tempi (Jerome Bruner, Rom Harrè, Gaetano De Leo, Alessandro Salvini, Masoni).

 

La paura di decidere non risulta dipendere dal tipo di decisione, piuttosto da come questa viene percepita dal soggetto sulla base delle sue caratteristiche personali e dal suo modo di agire nel mondo. Ne consegue che la soluzione del problema sta nel guidare la persona a sostituire le modalità disfunzionali con cui agisce le situazioni con altre funzionali, allo scopo di cambiare, tramite esperienze di successo, le lenti con cui osserva la realtà, ovvero condurlo dalla condizione di colui che costruisce ciò che subisce a colui che costruisce ciò che gestisce. 

 

Come se ne esce?

La relazione terapeutica è un elemento fondamentale nel processo di psicoterapia. Attraverso questa connessione unica tra terapeuta e paziente, si apre la porta alla possibilità di trasformazione e responsabilizzazione. Essere compresi e sentiti profondamente aiuta il paziente a sentirsi meno solo e privo di risorse per affrontare certi passaggi. Si tratta di sviluppare insieme competenze decisionali. Ricordandosi un motto: “il coraggio è la paura vinta!” o si accetta la paura e la si vince o la si subisce.

 

Conclusioni 

È chiaro che è complesso conciliare i bisogni individuali e gli impegni e le responsabilità che ci legano ad altri e che tanto più abbiamo ambiti di desiderabilità e partecipazione sociali tanto più le attese nei confronti dei singoli aumentano, tuttavia esistono strumenti che ci possono aiutare per esistere e stare bene. 

Male non fare, paura non avere!

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