Anche le scimmie bullizzano
L’altra notte non riuscivo a dormire. Per me è un evento abbastanza raro.
Sta di fatto che, fra un po’ di rotolate a destra e a sinistra nel letto, decido di accendere la tv.
Come per molti che conosco, la tv può fare da ninna-nanna quando il sonno tarda a giungere. Nell’accendere compare il canale “Focus”. Stanno dando un documentario su un tipo di scimmie di cui ora non ricordo la tipologia.
Erano scimmie piccole, simili ai lemuri per corporatura e agli scimpanzé nei tratti del volto. Il colore del pelo ocra e le classiche chiappe violacee scoperte. Ascolto il racconto del conduttore e comprendo che si tratta di un clan familiare, dentro cui è nato un piccolo cucciolo albino, nominato Bernie.
Poiché era bianco in un mondo di “ocrensi”, ovviamente era reso oggetto di scherno da parte dei suoi amici scimmieschi.
Anzi, il narratore stesso, lo definì “bullizzato”.
Nelle scene del documentario si poteva, infatti, notare benissimo come i cuccioli di scimmia “normali” continuavano a fargli dispetti e a tenerlo lontano dal giocare insieme a loro.
Come è immaginabile, tutto questo accadeva nella più completa indifferenza degli adulti, così presi a spulciarsi a vicenda, senza badare ai loro marmocchi indisciplinati.
Tranne la madre di Bernie, poveretta: continuamente intenta a correr dietro al suo figliolo, per salvarlo dalle ingiustizie subite a motivo del colore del suo pelo.
Tuttavia, non solo dai bulli doveva guardarsi questa madre!
Un altro pericolo incombeva sulla sua scimmietta albina: le mamme di altre scimmie tentavano di rubarle il cucciolo. Sì, sì: è proprio così.
Mentre i compagni di giochi lo vessavano o lo isolavano, le mamme di questi mascalzoni cercavano di orchestrare il “ratto” dell’albino.
Probabilmente l’avranno trovato strano... in senso buono. Una specie di stravaganza della natura, da conquistare per aumentare il proprio prestigio nel clan.
Era meraviglioso osservare come la mamma di Bernie andava ogni volta a riprenderselo dopo ogni tentativo di sequestro.
E, a ciò che si poteva intendere dalle immagini del documentario,, non ci andava tanto per il sottile. Quando una stolta presuntuosa non voleva restituirglielo, la prendeva letteralmente a sberle, finché lo lasciava andare. Segno evidente che non ogni forma di violenza, sebbene spiacevole, risulta sbagliata.
Comunque, per farla breve: dopo tutte le sue traversie, Bernie sopravvive insieme a sua madre.
Documentario a lieto fine – ho pensato. Veniamo ora a qualche pensiero sortomi a seguito di quanto visto e ascoltato.
Fin da piccolo mi hanno insegnato che dovevo pensare a noi esseri umani come a delle scimmie, un poco più evolute.
Mi dicevano che dovevo credere così, perché la scienza evolutiva lo affermava. Ovviamente, come tutti i cuccioli d’uomo, l’ho creduto per molto tempo. Non sopravvivi se non ti fidi di chi ti educa.
Oggi, dopo la visione di questo documentario, mi verrebbe da dire che, se siamo scimmie, per certi versi siamo rimasti tali.
Non è raro, infatti, incontrare nei corridoi scolastici studenti simili allo sfortunato Bernie e ai suoi compagni filibustieri. Non è inconsueto, nemmeno, trovare genitori distratti e mamme iperprotettive. Perciò: non sarà che le dinamiche del bullismo siano in effetti un retaggio della nostra mera animalità scimmiesca?
Se così è, non varrebbe la pena togliere l’aggettivo “evoluta” quando si pensa l’umanità come sviluppo di questa animalità?
In fondo, il documentario sembra comunicare proprio questo: il bullismo subito da Bernie è la dimostrazione che, in natura, non c’è stata nessuna evoluzione propriamente umana. Abbiamo solo cambiato ambiente: dalla savana alla scuola. Ma tutto è ancora uguale.
Vince chi è prepotente: così vanno le cose e sempre andranno. Lo mostra la scienza!
Se qualche lettore condividesse questa prima interpretazione, lo invito a prendere in considerazione anche quest’altra.
La cura, la premura, l’affetto, il desiderio di giustizia e il senso di protezione della mamma di Bernie che cosa sono in questo ingiusto sistema di prepotenza naturale? Da dove vengono?
Non è che in quella madre ci siano germi di vera umanità nel suo modo di agire verso il figlio?
Perché, vedi, caro lettore che sei giunto fino a questo punto della filosoficheria, non potremmo pensare diversamente dall’evoluzionismo a cui ci hanno abituato a credere ciecamente fin da piccoli?
Non possiamo affatto immaginare che sia l’umanità in potenza ad esser già un po’ presente nelle scimmie – nei mammiferi in genere, forse –, piuttosto che essere noi derivati per puro caso da esse?
La mamma di Bernie chi è? Rifletti con me un attimo.
È proprio irrealistico ipotizzare che nel suo modo di agire si mostri in nuce quella umanità di cui ciascuno di noi uomini potrebbe essere espressione piena e compiuta?
Non ti pare?
Ebbene: in un cane domestico, che abbassa le orecchie in segno di scuse mentre gli diamo una lavata di capo; in un gatto che ci seduce con fusa e miagolii per ottenere qualche crocchetta in più del dovuto; in un gruppo di gnu che fa cerchio intorno ad un loro cucciolo per difenderlo dai leoni; foss’anche nei felini che uccidono solo per nutrirsi e non per vendetta o sadismo...
In tutti questi casi e in molti altri, non sono forse gli animali che ci mostrano e dimostrano nei fatti che cosa potremmo essere normalmente noi umani se solo lo volessimo? Non risplende nei loro comportamenti quella “umanità” che a noi appartiene di diritto e di cui noi siamo piena espressione rispetto a loro?
Basta, quindi, usare l’evoluzionismo darwiniano come scusa psicologica per giustificare il male di cui siamo capaci!
Bernie, sua madre, i suoi amici, le altre mamme sono ciascuno di noi. Ma non lo sanno.
Noi, invece, lo sappiamo che siamo come loro.
Smettiamola di far finta di niente in nome di una fede scientifica che ci hanno trasmesso da bambini.
Convinciamoci ad esser più umani, visto che ne siamo capaci.
Sennò l’esempio della mamma di Bernie è sprecato.