Il Terzo settore nel welfare locale
Sul finire dell’anno andranno a scadenza i Piani di zona 2021-23, i principali strumenti di programmazione sociale territoriale previsti della legge 328/2000. Nell’iter della nuova programmazione locale gli indirizzi normativi e le richieste dei territori portano a considerare sempre più vincolanti il coinvolgimento dei soggetti del Terzo settore e l’accoglimento della co-progettazione quale pratica aperta a tutti gli attori rilevanti.
Un primo aspetto di cui la programmazione del welfare locale deve tener conto è il crescente peso dei servizi ideati ed erogati dal Terzo settore e le difficoltà economiche e organizzative del welfare pubblico nell’occuparsi di molte questioni emergenti. Secondo l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche da alcuni anni si registra una crescita degli erogatori di servizi sociali appartenenti al Terzo settore che sono passati, solo tra il 2016 e il 2020, da circa 18mila a circa 33 enti.
Si tratta di servizi che riguardano sfere di bisogno sempre più pressanti rispetto alle quali si registra una carenza nell’offerta pubblica e in alcuni casi un completo vuoto. Rispetto ad essi, spesso, abdica anche il mercato che non ritiene conveniente investire in attività che mal si coniugano con un approccio “profit”. Si tratta di servizi di accoglienza, contrasto della marginalità sociale e sostegno all’inclusione, fino ad attività dell’ambito socioassistenziale e socioeducativo dove la capacità della società civile di auto-organizzarsi è diventata cruciale.
La spinta progettuale e l’offerta del Terzo settore è andata aumentando negli ultimi anni, sia per la maturazione delle realtà che lo compongono sia per una serie di stimoli provenienti dal piano normativo (ad esempio la legge 328/2000 e la riforma del Terzo settore) e costituzionale (attuazione del Titolo V e del principio di sussidiarietà), volti a favorire un coinvolgimento degli enti di Terzo settore e una responsabilizzazione in particolare delle organizzazioni di volontariato, delle cooperative e delle associazioni. La creazione dal basso di nuovi servizi consente di intercettare e di presidiare aree estremamente critiche del disagio e della sofferenza e pone anche la questione del coordinamento e dell’integrazione tra tutte le iniziative presenti su un territorio o in un determinato settore (es. anziani, famiglie, disabilità).
Per affrontare la situazione attuale e compiere significativi passi in avanti sulla qualità e l’efficacia degli interventi, si sta diffondendo la consapevolezza della grande opportunità costituita dalla pratica della co-progettazione tra Terzo settore ed enti pubblici che è sempre meno un’eccezione nei percorsi di costruzione e di programmazione del welfare locale. In un quadro complesso come quello odierno è complicato pensare che i servizi possano essere l’esito di una strategia calata dall’alto che metta al centro la singola prestazione oppure il risultato di una competizione di mercato tra soggetti che si propongono di offrire forme di solidarietà sociale.
È anche difficile pensare che alla lunga sia sempre efficace la logica dell’appalto delegante in un quadro in mutamento dove è richiesta la convergenza di attori, servizi e spazi diversi. Di fatto, sta cambiando, seppure con tempi e modalità diverse nei vari territori, l’approccio allo sviluppo del welfare che oggi non può che essere un welfare co-progettato, esito cioè del concorso attivo di realtà diverse.
Sullo sfondo rimane il dato che senza il contributo ideale operativo del Terzo settore il welfare sarebbe una coperta bucata incapace di occuparsi di molte aree di bisogno. Serve dunque uno sforzo condiviso tra i diversi attori in gioco nel welfare territoriale che favorisca la costruzione condivisa di Piani di zona capaci di pensare a una virtuosa integrazione dei servizi e delle azioni promosse sul territorio che ostacoli il rischio di frammentazione o di asimmetrie tra gli attori in gioco.
(Articolo tratto dal Giornale di Brescia)